TENNIS

Sinner e l'addio a coach Piatti: all'ombra del campione

Camporese: "Il tennis è ingratitudine, non bisogna meravigliarsi. Io Jannik lo allenerei di corsa"

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© Getty Images

E così Jannik “Winner” ha rotto i Piatti (nel senso di Riccardo). Quello che sembrava un sodalizio sportivo indistruttibile, iniziato a Bordighera nel 2014, si è dissolto probabilmente sotto il sole australiano.  Per tutto il clan di Riccardo Piatti è stato però come finire sotto un treno in corsa. Decisione inaspettata che ha colto di sorpresa tutto il clan (il braccio destro di Piatti, Cristian Brandi, Andrea Volpini e il fisioterapista) perché avevano già preparato le valigie per l’Atp di Dubai. Simone Vagnozzi, (ex coach di Marco Cecchinato, che con lui arrivò alle semifinali al Roland Garros) è ora l’allenatore di Jannik. Ma questo in attesa della ufficializzazione di Magnus Norman. Svedese, ex numero due del mondo, ex finalista al Roland Garros nel 2000, ex allenatore di Stan Wawrinka e per gli appassionati di tennis l’avversario di Andrea Gaudenzi nella finale di Coppa Davis a Milano nel 1998, quando lo sfortunato faentino si strappò un tendine della al quinto set del primo match. Non Becker o McEnroe come si era ipotizzato proprio agli Australian Open quando lo stesso Sinner fece l’annuncio di un ex pro che si sarebbe unito al gruppo. Cosa ha portato alla rottura? Forse già tempo c’era disaccordo fra il team e l’area manageriale che segue Jannick. Forse lo stesso Sinner si è convinto – oppure è stato convinto - che il suo gioco troppo lineare aveva bisogno di uno che è stato inquilino nei quartieri altissimi delle classifiche mondiali.

E adesso cosa accadrà? Sinner si è dimostrato un ingrato nei confronti di Piatti che lo ha allevato e portato al numero dieci del mondo? “Ma il tennis è ingratitudine. Non bisogna meravigliarsi. Si sta assieme quasi 24 ore al giorno, giocatore e coach. Poi succede che a uno dei due qualche cosa non sta più bene. Il rapporto di fiducia si incrina e quello che tu potevi e volevi accettare dal tuo coach ora non ti sta più bene e magari vuoi qualcosa di diverso”. Parole e pensieri di Omar Camporese, che Riccardo Piatti lo ha conosciuto bene. Ricordate i Piatti Boys? Furlan, Caratti, Mordegan e appunto l’Omar nazionale che dopo Panatta e prima del binomio Berrettini – Sinner è stato colui che ci ha dato le più forti emozioni. A proposito, 31 anni fa esattamente in questi giorni vinceva Rotterdam su Ivan Lendl… Ricorda? “Sì, come no – prosegue Camporese – e fu proprio Piatti a portarmi a quel livello. Mi ha dato felicità ad allenarmi. Perché è finita? Io volevo che mi seguissi sempre non solo part-time ma lui aveva anche Furlan e Caratti che non si senti di abbandonare.  Poi Riccardo ha acquisito dopo trent’anni e tanti giocatori tantissima esperienza”

Ma può un tecnico pur molto preparato e con grande esperienza ma che non è mai stato un top – player, men che meno un tennista professionista, portare alle vette un giocatore?
“E’ inutile, l’esperienza che ha un ex pro per non dire un ex top player non è paragonabile. Ho visto il match con Tsitsipas di Sinner in Australia e devo credere che la batosta del greco abbia inciso su un piano di fiducia che forse si era già incrinato”.

Jannik Sinner ha un timing sulla palla unico, viaggiano  via diritti e rovesci che è un piacere. Però il suo è un tennis monotematico, velocissimi in lungolinea ma se si esce da quelle traiettorie verticali non sa cosa proporre. Trova?
“Concordo, ho visto Sinner a Torino dal vivo e, passatemi la critica, nel panorama tutto sommato modesto di quelle Finals, Sinner fa sibilare la palla rispetto agli altri. Ai miei tempi gli habituè del Master erano Lendl, Becker, Edberg…quanti slam totali. A Torino a parte Djokovic e uno di Medevedev il parterre non era certo de roi. Però Jannik è l’unico che colpisce la palla e produce velocità ma non ha un piano B.  Io se fossi il suo coach lo rivolterei. Tanto per gradire ad ogni match gli direi che deve andare a rete almeno venti volte”.

Ah, Sinner lei lo allenerebbe?
“Sì e di corsa. Anche se c’è da tornare a girare il mondo. Però deve variare il suo gioco anche perché ora non che ci sia in giro della grande qualità e lui deve approfittarne. Il livello di gioco è basso. Francamente, non c’è un gran spettacolo. Tutti giocano in maniera simile e tutti con il rovescio a due mani, senza offesa ovviamente…lo dico con il massimo rispetto verso i bimani dato che ne conosco…però ora che Federer è in prepensionamento non resta che sperare in Tsitsipas”.

Senta Omar, concludiamo con un bel amarcord del torneo di Rotterdam. Lei che 31 anni fa batte Lendl, numero uno del mondo. E’ vero che dopo Ivan il terribile le tolse il saluto?
“Il saluto no, però dopo la sconfitta mi guardava in un altro modo. Diciamo meno cordiale…”.

Attendiamo Norman allora. Se sarà il sarto giusto per Jannik Winner. La stoffa è pregiata. Bisognerà vedere se il Rosso non scivolerà dalla passerella. Perché alla fine dei conti nell’ arena, pardon nel campo, non c’è coach che tenga.  E’ il fascino del tennis che ha qualcosa di ancestrale. Ci si ritrova soli, uno di fronte all’altro, con un attrezzo in mano.

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