BUON CALCIO A TUTTI

Il grosso equivoco alla base della frattura Conte-Inter

Il club nerazzurro vede in lui l'uomo forte ma il tecnico sperava in maggiore protezione e in alcuni frangenti si è sentito solo

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Dalla parte di Antonio Conte ci sono i fatti. Contro di lui, le parole pronunciate a Bergamo. Dure, decise, ma anche inopportune e intempestive, a prescindere poi dal comunicato tranquillizzante diramato oggi. Ognuno sulla vicenda ha detto la sua, le opinioni si sono sprecate, e come sempre avviene nel nostro giornalismo frenetico, si sono emesse sentenze, condanne, si è abbattuto il monumento e si è preparato lo scalpello per modellare la sagoma del possibile successore. Tutto giusto. O sbagliato. Dipende dai punti di vista. Ma se si è arrivati a questo punto penso sia soltanto perché alla base del rapporto Inter/Conte c’è stato un grande equivoco.

Ricordo distintamente le parole di Marotta quando richiesto di una spiegazione sul perché l’Inter decidesse di investire su un nuovo allenatore (c’era ancora Spalletti) anziché su campioni ad hoc per far lievitare il potenziale tecnico della rosa, rispose “perché con Conte il rendimento di una squadra migliora di un venti/trenta per cento.” Marotta ha avuto ragione, l’Inter è migliorata in tutto, in fatto di punti, di gol subiti, di vittorie fuori casa, di minor numero di sconfitte. Inoltre avrebbe vinto pure lo scudetto se ci fossero stati ancora i due punti a vittoria.

Considerazioni queste che debbono prescindere dalle tesi colpevoliste (gli è stato fatto un mercato super) e da quelle innocentiste (ha dovuto fare di necessità virtù a causa dei tanti infortuni). L’equivoco sta nel fatto che, ingaggiando Conte, Marotta era sicuro di aver affidato il futuro dell’Inter nelle mani di un Generale a tutto tondo, un Napoleone dei giorni nostri, capace di rendere la squadra più competitiva, ma anche di mostrarsi a petto nudo di fronte alle offensive dei nemici. Fossero questi sul terreno di gioco, o nelle redazioni dei giornali e delle TV.

Conte, nei progetti societari, avrebbe dovuto essere l’immagine della nuova Inter. L'uomo forte, più forte di tutto o di tutti. Una sorta di nuovo Trap, il suo maestro, che ai tempi dello scudetto dei record aveva dovuto difendersi dall’accerchiamento mediatico del Milan di Berlusconi e da quello di potere della Juve di Gianni Agnelli. Ma alla base di tutto ciò, e nonostante l’ottimo avvio di stagione e nonostante la sua mania di vincere al primo colpo,  c‘era un progetto triennale. Che pareva poter essere anticipato dopo i primi mesi entusiasmanti, ma che la società ha dimenticato di ricordare nei momenti di magra coincisi con la sconfitta interna col Bologna e con altri sperperi contro avversari abbordabili.

In quei momenti Conte si è sentito solo. È stato lasciato al suo destino davanti al plotone d’esecuzione. Non una parola in difesa del progetto. E in via della Liberazione non uno che ne difendesse il lavoro comunque eseguito nel pieno rispetto della tabella di marcia. Anche perché non è mai facile per un amministratore delegato, seppure esperto e di apprezzato valore, prendere iniziative senza la benedizione di un padrone dai pensieri spesso indecifrabili.

A Conte toccava il gravoso compito di difendere se stesso e l’Inter da ogni attacco. Anche per questo era stato ingaggiato e ben pagato. Ma lui, nel momento in cui si difendeva a petto nudo, pensava di avere alle spalle almeno la protezione dell’artiglieria. Invece gli è toccato subire, pensare, rimuginare, giocare e vincere per poter poi dire – esagerando - ciò che da tempo gli stava sullo stomaco. 

Ha sbagliato, a Bergamo, con le parole. I fatti, ripeto, sono tutti dalla sua parte. E poi sostituire Conte vorrebbe dire distruggere in un attimo le basi di un progetto destinato ad un grande futuro nel quale lui stesso ha peraltro ribadito di credere.

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