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The making of Stefano Pioli

Il romanzo di formazione del tecnico del Milan

25 Dic 2020 - 08:26

«Te sei bravo, ‘scolta, te sei una brava persona e diventerai un grande allenatore. Ma adèsa basta, l’è mei cat vag a ca’»: Terni, 13 febbraio 2005, la frase di cui sopra – la lingua è un pidgin italiano-modenese – è parte del monologo di un tifoso un po’ alterato, quello che parla più forte dei sodali lì accanto, separato da un metro e un cancello metallico da Stefano Pioli e Romano Amadei, rispettivamente allenatore e presidente del Modena in B.

Un Modena che ha appena perso 2-1 al Liberati (vantaggio del 19enne Gyan, che allora era per tutti solo Asamoah, poi risultato capovolto da Fattori e Di Deo) e ha solo un punto in più sulla zona playout. Il te invitato ad andarsene a casa è appunto il tecnico, 39 anni, i capelli nerissimi, stempiato il giusto, secco e allampanato come quando giocava. Si dice che alla carriera di un allenatore non possa mancare un esonero, e quel giorno Pioli ci va vicino o, almeno, è quello che pensano tutti. Non perché sia vero, ma perché i tifosi dei gialli ne vogliono la testa. La squadra gioca pure un bel calcio d’attacco, ma è troppo in basso a loro avviso – era in A un anno prima – e allora chi paga?

L’allenatore.
Ovvio.

Invece no. Amadei si fida, lo conferma e ha ragione: il Modena (peraltro penalizzato di un punto) termina il campionato a -1 dai playoff. Pioli resta allora anche l’anno seguente, e stavolta l’esonero arriva davvero quando è a metà classifica, poco oltre la metà del campionato, senza colpe effettive. Ecco, adesso sì: la carriera di uno che poi è diventato sul serio un ottimo allenatore, e ora sogna con il Milan uno scudetto che lo renda grande come preconizzato al Liberati dal tifoso che non lo voleva più vedere, può iniziare sul serio.

Tempo tre giornate e tre sconfitte del suo sostituto, Maurizio Viscidi, e Pioli torna sulla panchina del Modena (un allenatore, dopo l’esonero, deve avere in curriculum anche la richiamata), raggiungendo i playoff. Di saperci fare sul campo e con lo spogliatoio in realtà lo aveva dimostrato anche alla Salernitana, primo club a dargli una chance da tecnico in prima, e così ora lo attende la A, sotto casa, in un Parma minore che, in attesa di un foraggiatore, lo mette sotto contratto un po’ perché costa poco, un po’ perché in fondo è quello della porta accanto e nelle foto di famiglia è quello del gol alla Sanremese, molti capelli prima, in uno spareggio del 1984 che valse agli emiliani una promozione in B. E la B, obiettivo del ragazzino di allora, è l’incubo da evitare dall’uomo di oggi.

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