Storia del Lecce 2004/2005, una squadra capace di salvarsi, divertire e valorizzare i giovanissimi
C’è stata un’altra Zemanlandia, qualche chilometro a sud delle sue sorelle famose. Solito vocabolario: tridente, gioco spericolato, giovani che diventano uomini; gradoni, sigarette, inespressività del Capo; polemiche. Siamo a Lecce, la Serie A è la 2004-2005 – la prima a venti squadre, quella revocata alla Juventus in cui il Messina sfiora la Coppa Uefa e la Roma la B – e lo spettacolo dura giusto una stagione. Poi viene dimenticato, stretto fra i grandi amori di sempre: Foggia, quando il gioco a zona della “giovane promessa” svegliava l’Italia delle marcature a uomo; e Pescara, scampolo da “venerato maestro” di una vita da “solito stronzo”, come direbbe Arbasino. Ma che, proprio per quanto riguarda quella fase, trova l’apice in Salento.
Specie considerando le premesse: mettere sotto contratto Zeman, nell’estate del 2004, è impopolare, significa scommettere su un 4-3-3 finito fuori moda dopo la sbornia triste alla Lazio di Cragnotti e alla Roma di Sensi. Ora è alla periferia dell’impero: Salernitana (dal 2001 al 2003), con esonero e retrocessione in C; e Avellino, con un altro declassamento in terza serie. L’educazione al gol è intatta (Vignaroli con lui ne segna venti, Kutuzov tredici), ma i risultati latitano. E quando Pantaleo Corvino – allora direttore sportivo del Lecce – lo fa sedere in panchina, gli over 2,5 sembrano garantiti; la salvezza, molto meno.