Il senso perduto dei numeri di maglia

Un tempo i numeri erano rappresentazione di un'identità ben definita

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Quel giorno fa freddo, c’è vento, la giornata è umida e si attacca ai vestiti, a bordo campo un uomo tracagnotto osserva giocare le riserve dell’Arsenal, si chiama Herbert Chapman, ha ancora tosse e raffreddore dall’ultima partita, il medico gli ha consigliato di rimanere a casa, lui invece è lì nel fango, tanto in Inghilterra, specie d’autunno, il bel tempo è un giorno che accade; pochi anni prima, il 25 agosto 1928, in una partita contro lo Sheffield, Herbert fece scendere in campo l’Arsenal con i numeri sulla schiena, in realtà i primi a farlo furono gli australiani del Sydney Lichardt e dell’Hims Powerful nel 1911 ma solo con l’allenatore inglese ha inizio il sistema che adotta i numeri naturali come identificazione ordinata in cui il ruolo prevale sul calciatore.

Qualche mese dopo quella partita Chapman muore di polmonite, è il gennaio 1934, il nazismo ha preso potere in Germania, la grande depressione negli Usa sconforta economisti e psicologi, nelle Asturie c’è l’insurrezione anarco-comunista dei minatori contro il governo; a cinque anni dalla scomparsa di Chapman finalmente la Football Association decreta l’inizio ufficiale della sequenza dei numeri, dove il 2 è il terzino destro e l’11 l’ala sinistra.

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