Il pallone più sfortunato del mondo

Storia di Fly... e del Milan di Sacchi

  • A
  • A
  • A

Oggi i palloni da calcio non sono più un problema. Lo sono stati in passato, ma più che altro in competizioni specifiche e ristrette. Vi ricordate lo Jabulani del Mondiale 2010? Sembrava troppo leggero, volava in alcune occasioni quando lo si colpiva, specie per le punizioni e gli angoli. Pensionato quasi subito dopo la Coppa del Mondo in Sudafrica, è rimasto nell’immaginario collettivo recente come uno dei peggiori palloni mai prodotti dall’Adidas. E pensare che era stato progettato dall’università inglese di Loughborough: “Ore di laboratorio per “produrre otto elementi innovativi 3D saldati termicamente e per la prima volta modellati sfericamente con gomma EVA e poliuretano termoplastico”. Un gran lavorio dietro le quinte per poi finire spernacchiato dai diretti interessati. Eppure c’è stato, tra i “colleghi” dello Jabulani, chi ha avuto una sorte peggiore. C’è chi è diventato una sorta di simbolo negativo in un’era quasi pionieristica, anche se recente: il “Fly”,  pallone autoctono fabbricato in Spagna e scelto dalla Liga nella stagione 1988-89 come prodotto ufficiale

Elche
Saturnino Merino è un pellettiere di Elche, grossa città in provincia di Alicante, nel sud-est della Spagna. Piccoletto, magro, ha un’azienda che si chiama Mery Sport ed è un vero artigiano nella produzione di palloni. Nulla di industriale come le grosse corporation mondiali, con laboratori in Asia perché la manodopera costa meno: no, per lui lavorano un pugno di dipendenti e anche i prigionieri del carcere di Valencia. Il suo Fly è puro “Made in Spain” ed è in vera pelle, non in sintetico tipo, ad esempio, Adidas.

È il 1988 e la Liga Futbol Profesionàl è in piena anarchia per quanto riguarda i palloni, a differenza della Serie A o della First Division inglese: ciascun club di prima e di seconda divisione ha un contratto di fornitura con un’azienda diversa (Adidas, appunto, oppure Puma e tante altre). C’è un vero “fattore-palla” quando si va a giocare in trasferta, insomma. Tuttavia l’accordo delle società con le varie aziende è privato, alla Liga non entra in cassa nemmeno una peseta da questo punto di vista. I soldi li riceve dai club, sì, ma sono solo quelli della quota d’iscrizione al campionato; non ci sono nemmeno i diritti televisivi, come invece adesso.

La lega, insomma, è alla canna del gas ed è disposta quasi a tutto per raccattare qualche soldino in più proprio ora che, sempre nel 1988, è stata approvata (come del resto in Italia e in altre parti d’Europa) la norma che permette di tesserare un terzo calciatore straniero. Il rischio di una pessima figura è concreto. Il fatturato annuale della Liga quell’anno è di 144 milioni di pesetas: paragonato ad oggi circa 865mila euro, una miseria. All’epoca, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, per inquadrare meglio la vicenda, il salario   minimo mensile è di 50mila pesetas.

Quando Saturnino Merino, però, si presenta alla porta della Liga con un’idea rivoluzionaria si accendono le luci e si allargano i sorrisi: “E se utilizzaste il mio Fly come pallone ufficiale del campionato e della Coppa del Re? Vi sgancio 60 milioni di pesetas per 3mila esemplari”. Anche Adidas si era fatta avanti con la Liga, ma senza offrire nessuna contropartita economica. E secondo voi la LFP cosa decide? Stretta di mano con Merino e dentro il Fly, ma soprattutto i soldi, una volta ottenuta dalla Fifa la certificazione del pallone. 

Commenta Disclaimer

I vostri messaggi 0 comments