Gundogan e il calcio dell’inclusività

Guardiola ha dato una nuova identità al tedesco

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Prendendolo dal mondo della didattica, oggi si parla in ogni contesto di inclusività (anche i politici italiani ci stanno sommergendo con il tema). Vero è che spesso citiamo a vanvera concetti che vanno di moda (ormai “sostenibile” ad esempio è già in discesa), ma analizzandoli in profondità ovunque vengono utilizzati hanno un loro senso. Ancora poco si parla di inclusività nel mondo del calcio ma è il caso di farlo se guardiamo ancora una volta a chi cerca sempre gli orizzonti più lontani, Josep Guardiola.

Prima di tutto inclusività e inclusione hanno due accezioni semantiche differenti. L’inclusione premette un sistema in cui il calciatore deve adattarsi, applicando dei compiti e delle funzioni. Quindi l’inclusione è il prodotto finale di un percorso di adattamento. Il calcio guardiolano è stato ed è anche questo, soprattutto se pensiamo ai rigetti alla Ibrahimovic o alla Chygrynskiy, preso come caso di studio nel documentario “Take the ball, pass the ball” di Duncan McMath e scritto da Graham Hunter.

L’inclusività è qualcosa di più avanzato. Costruire contesti inclusivi vuol dire adattare gli stessi ai calciatori, trasformandoli per “praticare” la comunità che è una squadra di calcio. Quello che si cerca non è un prodotto ma un processo sempre in fieri in cui l’adattamento è costante e bidirezionale e viene richiesto anche al sistema stesso che non è mai dato per scontato. Questa è la nuova dimensione di calcio che Guardiola sta creando nel Manchester City attuale e un esempio dei frutti che porta è la stagione e la nuova identità di İlkay Gündoğan.

Prima degli ultimi due anni al Manchester City, Gündoğan aveva un’identità molto precisa. Era il perfetto regista metodista della propria squadra, da schierare o vertice basso alla Jorginho per far iniziare la manovra, magari abbassandosi fra i due centrali (altro esempio molto facile è Thiago Alcantara), oppure da affiancare con un altro centrocampista in una sezione centrale di campo strutturata con il 2-3 come quasi sempre ha scelto di fare Joachim Löw nelle sue partite con la Nazionale.
Guardiola lo prende dal Borussia Dortmund e all’inizio gli da quegli stessi compiti, cercando di includerlo nel suo assetto di squadra per alternarlo o associarlo a Fernandinho.

Sono passati cinque anni dal suo arrivo al City e, nonostante Guardiola avesse potuto sfruttarlo per quelle funzioni in cui era uno dei migliori al mondo, ha costruito su di lui un nuovo contesto inclusivo, dandogli una nuova anima.

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