Elogio della simulazione

Un gesto infantile, artistico, un momento liberatorio

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Maggio 2010, fa caldo in Croazia, l’estate è prossima quando Goran Tunjic del Mladost Fc, squadretta di serie minore, si trova davanti al portiere dello Hrvastki Sokola però invece di calciare crolla a terra senza motivo, l’arbitro estrae il cartellino giallo. Simulazione. Tunjic non si muove da terra. Tunjic è morto. Infarto. Non stava mentendo come aveva fatto spesso sul campo, Goran il bugiardo.

Nelle “Tesmosforiazuse” di Aristofane del 411 a. C. si rappresenta la rivolta delle donne alle Tesmoforie, festa in onore di Demetra e Persefone: contestano la misoginia del tragediografo Euripide e il suo modo di caratterizzare i personaggi femminili; questo è forse il primo testo in cui è presente il metateatro. Euripide combina, allora, continui travestimenti alla Arturo Brachetti per placare le donne delle Tesmoforie, con l’effetto di provocare finzione all’interno della finzione.

Il metateatro si ritrova in Plauto, nell’Amleto, in Goldoni, in Eduardo e soprattutto nella trilogia di Pirandello; è la realtà che entra nella finzione come finzione e a un certo punto nessun critico spettatore o regista saprà più capire la differenza; l’opossum si finge morto, per esempio, quando sente la minaccia e un pesce africano si insabbia simulando la morte per attirare i saprofagi e ucciderli. Iago finge con Otello, Giuda con Gesù, Enrico IV con la famiglia, Pinocchio con il mondo – la menzogna è un atto necessario per non ridurre la realtà al suo deserto, è, se si vuole, un gesto infantile, artistico, un momento liberatorio, un tentativo di conquista quando l’inganno diventa necessario e allora il cavallo di Troia non è furbizia ma azione geniale.

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