Il tecnico della prossima stagione dipende anche da quali sono i reali obbiettivi societari e le attitudini del tecnico
Prima e dopo il pareggio con la Juventus, a quattro giorni da Udinese-Inter, in piena lotta per i posti Champions, con le avversarie pericolosamente vicine, il tema resta ancora il futuro e la permanenza o meno di Spalletti sulla panchina nerazzurra. Nella speranza che la squadra sia più interessata ad arrivare terza che ad ascoltare il tema dell’allenatore, va detto che le due stagioni di Spalletti possono essere meritare la sufficienza ma il tema non è se Spalletti un bravo tecnico o no. E’ fuori discussione che si tratti di un professionista di grande esperienza con grandi meriti e un curriculum che merita rispetto. Ha però anche delle colpe nel rendimento in tutte le coppe dalle quali l’Inter è stata eliminata, sempre in casa e sempre contro avversari (PSV, Lazio e Eintracht) non trascendentali. Ha delle responsabilità nel gioco macchinoso che l’Inter abbandona solo in alcune partite, giocando un calcio di alto livello, anche se solo un tempo.
Spalletti ha gestito male la questione Icardi, come quella di Perisic e soprattutto Nainggolan, il quale ha giocato la sua prima partita di spessore solo alla 34esima giornata. L’Inter tuttavia in questi anni ha bruciato troppi allenatori, riducendoli ai minimi termini, tutti incapaci, tutti inadeguati secondo l’opinione del momento.
C’erano anche logiche invisibili che entravano nel confusionario momento societario, con giocatori in prestito, altri a parametro zero e l’ordine di fare il meglio possibile tra una presidenza e l’altra. Spalletti, tra tutti, è quello che è arrivato nel momento meno sbagliato ma la sua permanenza è rimasta controversa perché in una società di alto livello, dal grande prestigio e con ambizioni importanti come l’Inter, il bravo tecnico non basta mai.
Se dovesse restare non sarebbe un male, considerando che ancora oggi non sappiamo quale potere di spesa abbia la società per la prossima stagione. So solo che l’Inter vince quando sulla panchina si siede un fuoriclasse o un visionario, da Herrera a Trapattoni, da Mancini a Mourinho, e in campo vanno autentici campioni.
A Spalletti sembra mancare il coraggio, la temerarietà, un calcio spontaneo, più simile a quello che faceva con l’Udinese o nella Roma tra il 2007 e il 2009. Oggi la sua gestione sembra figlia di tante esperienze che ne indeboliscono l’entusiasmo e rendono l’Inter una squadra prudente, che non va oltre il compitino, si spende un solo tempo e fa un possesso palla che produce poco. Se dovesse restare, avrebbe il compito di riscoprire un’attitudine vincente, come quella che gli ha permesso di vincere due titoli con lo Zenit e lo porti a fare per primo un salto di qualità che gli permetta di veder le cose con più sfacciataggine e che gli consenta di sognare un trofeo, anche contro la logica, chiedendo alla squadra cose che vadano oltre o propri limiti. Solo così si vince, diversamente, con uno Spalletti come quest’anno resterà un Inter da piazzamento.