OGGI CON DE CARLO

Cuore tifoso: il paradosso dell'Inter

Gioca bene, è più affidabile e tutti si sentono coinvolti ma mancano giocatori che cambino la partita.

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La partita di domenica, nonostante il risultato, ha lasciato più certezze che dubbi. In questo senso è un’anomalia perché una sconfitta in casa ha spesso il risultato di creare incertezze e processi smodati verso giocatori, allenatore e campagna acquisti impallinata. Il fatto di aver perso giocando al massimo due partite che hanno messo a nudo più i limiti dell’organico che l’impegno dei giocatori, più il livello di avversari come Barcellona e Juventus che gli errori eventuali dell’allenatore (che forse avrebbe dovuto intuire le difficoltà nella ripresa e giocare a 4 dietro ma non è nella sua filosofia).


Quello che emerge chiaramente è che la rosa dell’Inter non ha più nessun giocatore disfunzionale. Potrebbe sembrare esclusivamente un merito, perché significa che si privilegia l’architettura del gioco, il collettivo all’individuo, l’organizzazione al pensiero solipsista. E’ altrettanto evidente a tutti che all’Inter manchino due o tre fuoriclasse (diciamo sugli esterni e in avanti) ma si spera che Suning faccia questo passo, ora che ha la base, dalla prossima estate. 

In realtà, nella costruzione della squadra si è pensato all’ordine e alla geometria del progetto, dimenticandosi che all’organizzazione serve anche un briciolo di disordine.  
Servirebbe anche la giocata “ignorante”, come nel basket, il giovane di prospettiva o il centrocampista che entra e, pur anarchicamente, scombina i piani partita degli avversari e rovescia il tavolo. 
Manca il talento grezzo che, per intenderci potevano garantire giocatori diversissimi. Faccio degli esempi ma non vi concentrate sui nomi che possono farvi sobbalzare, quanto piuttosto sul ragionamento.
Manca un Recoba, un Coutinho, un Guarin, persino un Dalmat, un Kovacic, manca un Balotelli prima versione (non quello sciagurato visto in seguito). Guardi in panchina e vedi tanti bravi operai che se entrano garantiscono il compito ma non trovi quel ragazzo che speri di veder dribblare e andare via all’uomo con un cross o un tiro improvviso. Ricordo che la gente si infiammava persino se entrava un Karamoh, illudendosi che fosse un campione ma in realtà in quel drammatico spareggio per la Champions, il Lazio-Inter del 2018, fu proprio lui che innescò, con un paio di giocate fuori dagli schemi, le azioni che avevano portato alla rimonta dell’Inter. 

La società ha allontanato Nainggolan, Perisic e Icardi e con loro la discontinuità o gli strumenti che stonavano l’orchestra e perciò questa stagione è più facile che la squadra di Conte batta i Cagliari o le Udinese ma non riesca a prevalere su squadre attualmente più forti. Più punti e meno sogni. Quella vena di follia, quella stilla di pazzia che l’Inter aveva anche nel suo inno, è stata bandita a favore di un progetto compreso dal popolo nerazzurro ma a cui manca una parte fondamentale del suo retaggio. Non è poco. 
 

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