Vittorio Sereni e il fantasma nerazzurro

Un amore dolce e intenso come pochi, consumato a San Siro

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Gli anni Sessanta e un matrimonio tipicamente italiano. I convitati che si radunano attorno al banchetto, le cravatte macchiate, i piedi alla lunga un po’ dolenti e un vociare allegro che di tanto in tanto esplode in risate fragorose: un altro brindisi, un altro chiassoso scontro di calici a mezz’aria. E poi l’eccitazione elettrica che nel viavai di portate cede il passo a un torpore sonnolento, come un’ondata di vino rosso che attraversa il corpo e lo riempie di calore. Pochi patemi, un bicchierino di Ramazzotti con ghiaccio, una vita senza noie che pare possibile.

Solo due figure, in modo quasi comico, se ne stanno un poco in disparte: hanno la radiolina accesa e si piegano in avanti come ipnotizzate dalla voce metallica che arriva dalla cassa. Sono il padre della sposa (sic!) ed un amico, i poeti Vittorio Sereni e Franco Fortini, appartati ed estraniati dalla festa: scusate un attimo, c’è l’Inter che gioca, sembrano dire, agitando la mano nel vuoto come a scacciare sul nascere qualsiasi richiamo; le foto a dopo, lo spumante tra un minuto.

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