Simone Biles non è l'atleta dell'anno

Lo sport è conflitto, che ci piaccia o meno

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Non siamo di quelli che pretendono eroi sportivi perfetti e incontaminati, anzi. Personalmente ci emozioniamo quando vediamo l’eroe cadere, non per puntargli il dito contro o per invidiosa soddisfazione quanto invece per riscoprirne l’umanità, la grandezza della “normalità”. Maradona è stato il numero 1 proprio per questo, perché ci ha ricordato che anche i giganti sbagliano, soffrono, cadono; e che l’unica differenza tra una nostra caduta e una loro è che, quando questi crollano, fanno semplicemente più rumore. Ecco perché quando Simone Biles si è ritirata alle scorse Olimpiadi non l’abbiamo beceramente accusata con un «è pagata per questo, doveva gareggiare» (lei che nel suo palmarès ha 25 titoli mondiali e 7 medaglie olimpiche, di cui quattro ori).

Al contrario, abbiamo analizzato il sistema che ha portato una ragazza di ventiquattro anni – già meritatamente considerata la migliore della storia nella sua disciplina – a ritirarsi dalle competizioni in cui era considerata la super favorita e per le quali si era allenata cinque anni. Le critiche non sono state per lei ma per i social, gli sponsor e tutto quel contesto in cui oggi devono muoversi gli sportivi di livello internazionale, spesso impotenti e non dotati degli anticorpi adatti.

Un contesto in cui, a volte, vale più il numero di follower che una vittoria in campo; un contesto che identifica uomini e donne con la loro immagine, e che però questi contribuiscono (inconsapevolmente) ad alimentare fino a quando la bolla scoppia.

Simone Biles, appartenente alla generazione Z, quella imprigionata nell’immagine che dà di sé all’esterno, è il prodotto di tutto ciò: da qui la scelta di ritirarsi. Lei che è tutto fuorché una novellina delle competizioni ha dichiarato che la sua testa e il suo corpo non viaggiavano sullo stesso binario, e che l’ansia e gli attacchi di panico avevano avuto la meglio. Proprio per questo motivo è stata premiata dalla rivista Time come atleta dell’anno, per aver squarciato il velo sul tema (fondamentale) della salute mentale degli atleti.

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