All'estero piani concreti, in Italia fumo negli occhi
"Nella crisi trova l’opportunità… nella crisi trova l’opportunità… nella crisi trova l’opportunità..”. Questo è il mantra che ripete l’imprenditore che vuole rilanciare la sua attività. Egli sa che i suoi buoni propositi dovranno diventare fatti: processo complicato e straordinario, in cui spesso si gioca il tutto per tutto per salvare l’azienda ed i suoi lavoratori; interventi che spesso implicano il profondo ripensamento del modello organizzativo del business, il taglio dei suoi rami non più redditizi e soprattutto la riduzione degli sprechi di risorse, finanziarie in primis. Un approccio che tuttavia sembra totalmente sconosciuto ai dirigenti che guidano il nostro pallone.
Già, perché ormai è inutile negarlo: il calcio è davvero un’industria. Forse non la terza per importanza in Italia, come millantano i suoi dirigenti gonfiando il petto per l’orgoglio, comunque un comparto che produce 16 miliardi all’anno, tra professionisti e dilettanti. Un giro d’affari inferiore al 1% del PIL, ma non esattamente bruscolini. Allora, in questi periodi di vacche magrissime (per tutti), sarebbe lecito aspettarsi un concreto piano di riorganizzazione dell’impresa calcistica italiana.