L'assurda guerra delle radio

Il suo potere in Spagna

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Uno spot dalla fotografia tipicamente anni ’80: controluce arditi, dettagli colti con lo zoom, colonna sonora elettronica; una voce fuori campo stentorea afferma che José Maria Garcia parla quando tutti per vigliaccheria stanno zitti, e per dire la verità al suo pubblico non dorme né lascia dormire. Garcia ha quarantacinque anni ed è il re incontrastato della radio con il suo programma SuperGarcia, una sorta di Gianni Brera per le invenzioni linguistiche e i neologismi che crea all’impronta. È un tipo bassino, perennemente con il sigaro sulle labbra. Stronca gli allenatori che non gli piacciono provocandone l’esonero, è amico personale di alcuni presidenti e intimo nemico di altri, si permette il lusso di attaccare ministri e di sfidare i dirigenti sportivi. Eppure ancora non sa che il suo regno sta per essere messo in discussione.

In Italia la radio sportiva in quegli anni aveva il suo apice la domenica pomeriggio quando Ciotti e Ameri raccontavano le gesta sportive della Serie A in Tutto il calcio minuto per minuto. In Spagna lo sport invece era protagonista quotidiano nella fascia di mezzanotte, che diventò in breve tempo la più ascoltata della giornata. Si diceva che Garcia cominciava a mezzanotte e finiva quando voleva: una star con uno stipendio annuale nel 1987 di mille milioni di pesetas – ovvero sei milioni di euro odierni – insomma guadagnava molto di piú dei fuoriclasse da lui raccontati. Il potere di Garcia era immenso: il contratto di Hugo Sanchez si firmó nel suo ufficio, la sua popolaritá si estendeva molto oltre i limiti del giornalismo sportivo, aveva il privilegio di chiamare direttamente il re Juan Carlos, che gli rilasciava interviste in esclusiva.

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