A Roma si governa solo con il pugno di ferro
Fa un po’ sorridere leggere le dichiarazioni di chi, tifosi ma anche ex giocatori/allenatori e opinionisti, crede che Mourinho abbia perso il controllo di sé e stia facendo precipitare la situazione a Roma. Quello sfogo dopo l’imbarazzante trasferta norvegese (mai il portoghese aveva incassato 6 gol in carriera) è stato considerato frutto di rabbia estemporanea, di un allenatore che pensa esclusivamente a se stesso e non ha il coraggio di assumersi le responsabilità di una figuraccia, anzi preferisce scaricarle.
Eppure Roma, e Mourinho, non seguono le logiche correnti. Pensare che il tecnico si sia suicidato mettendosi contro metà spogliatoio, lacerandolo e umiliandone buona parte senza prima soppesarne le conseguenze, è allora poco credibile. Paradossalmente, il fatto che José avesse qualcosa in testa si è visto anche con la convocazione dei giovani primavera portati in panchina e le tribune reiterate inflitte a Borja Mayoral (l’anno scorso 17 gol), a Villar (con Fonseca autore di ottime prestazioni), a Diawara e Reynolds – senza considerare Kumbulla, non convocato per la partita contro il Napoli ma “perdonato” in vista del Cagliari.