“Belfast è una città a cui è stato strappato il cuore. Una città di cantieri navali, fabbriche del lino e corderie in cui oggi non costruiscono più navi, non si produce più sartiame e non si lavora più il lino. Una città non può sopravvivere se non sa dove sbattere la testa”. È questo un estratto del fortunato romanzo Eureka Street, in cui Robert Mcliam Wilson racconta le atrocità di una Belfast lacerata e progressivamente svuotata dagli attentati che si spartivano cattolici e protestanti: decenni devastanti che hanno portato la città a smarrire la propria identità, divenendo, in questo caso, un triste e desolato teatro di guerra.
Un concetto che può essere trasposto nel cuore pulsante dell’Inghilterra, nel suo nucleo più profondo, laddove brucia il magma della “britishness” (l’identità britannica) e la globalizzazione ha lasciato le sue scorie più tossiche. Anche alla cittadina di Burnley, infatti, è stato strappato il cuore: per accorgersene è sufficiente percorrere le vie del centro, in quello che un tempo rappresentava uno dei più rilevanti poli industriali nazionali.
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