L'originale rapporto tra il celebre intellettuale e lo sport
La testa di Danton sul corpo di un pigmeo, con la gobba davanti e la gobba di dietro, piccolo di statura. Questa testa però: scultorea, stupenda, con degli occhi di un azzurro che fissavano l’interlocutore e non lo mollavano. Era in un angolo del cortile dove aveva messo su un’aiuola, che coltivava amorevolmente”. Con queste parole Sandro Pertini descrive uno dei più grandi intellettuali italiani del ‘900, Antonio Gramsci. I due si incontrano a Turi di Bari nel 1930, entrambi prigionieri, entrambi oppositori del fascismo.
Quello di Gramsci è un corpo da intellettuale, quasi leopardiano nella sua vistosa imperfezione. Con un corpo così non sarebbe stato possibile per nessuno dedicarsi all’attività sportiva. Nino – così viene chiamato Gramsci durante la sua infanzia sarda – mostra durante i primi anni di età dei sintomi che di solito si manifestano negli ultimi. Sviluppa un principio di gobba che costringe sua madre a portarlo da uno specialista di Oristano. Secondo la sua opinione, la cura migliore per Antonio sarebbe stata legarlo con una corda e tenerlo appeso a una trave del soffitto.