ALPINISMO

Gli Sherpa firmano la prima invernale del K2 ma lo spagnolo Mingote perde la vita sulla montagna

Lo spagnolo Sergi Mingote precipita e muore sul K2 poche ore dopo la prima scalata invernale degli alpinisti Sherpa sulla seconda montagna del pianeta.

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È terminata con una tragedia la giornata che aveva avuto il suo culmine nella prima salita invernale del K2 da parte di dieci alpinisti nepalesi appartenenti a tre distinte spedizioni che avevano unito le forze per raggiungere appunto la vetta dell'ultimo "ottomila" non ancora scalato nella stagione fredda.  Lo spagnolo Sergi Mingote ha perso la vita a causa di una caduta nella parte bassa della montagna, mentre scendeva dal Campo Uno al Campo Base Avanzato.

Sergi Mingote faceva parte di una delle tre spedizioni che hanno raggiunto la vetta, quella di Seven Summits Treks (del quale era anzi uno dei responsabili), ma non si trovava nella parte alta della montagna con i suoi colleghi nepalesi: avrebbe avuto nei prossimi giorni la sua occasione di tentare la cima. Il capospedizione di SST Chhang Dawa Sherpa ha riferito che Mingote è stato vittima di un incidente nella fase di discesa - avvenuta ormai al buio - ed è stato soccorso nei pressi del Campo Base Avanzato dall'italiana Tamara Lunger e dal rumeno Alex Gavan (loro pure legati al gruppo di Seven Summits) oltre che da due alpinisti polacchi. Un teammedico inviato dal Campo Base ha raggiunto il luogo dell'incidente ma per il cinquantenne alpinista spagnolo non c'era ormai più nulla da fare.

 

Tristissimo epilogo quindi per una giornata gloriosa nella storia dell'alpinismo. Il tentativo di vetta aveva avuto inizio nelle primissime ore della notte tra venerdì 15 e sabato 16 gennaio dal Campo Quattro, a 7800 metri di quota sulla Spalla del K2, dove gli alpinisti incaricati appunto del "summit push" erano arrivati mettendo a frutto settimane di lavoro e di rotazioni tra campo base e campi alti da parte loro e dei loro compagni di squadra per preparare la via in vista dell'attacco finale. L'itinerario scelto per questa straordinaria performance è stato naturalmente quello della cresta sud-est del gigante pakistano, lo Sperone degli Abruzzi lungo il quale si era sviluppato il tentativo della spedizione italiana che - il 31 luglio del 1954, sessantasei anni e mezzo fa - aveva mandato in vetta Achille Compagnoni e Lino Lacedelli.  Un exploit su quale ha a lungo pesato la macchia del "caso" legato al contributo -  a lungo sminuito - fornito da Walter Bonatti al successo dell'impresa.

I dieci alpinisti sono: Mingma Gyalje Sherpa ed i suoi due compagni Dawa Tenjing Sherpa e Kilu Pemba Sherpa, Sona Sherpa della spedizione Seven Summits Treks e (contingente più numeroso) i componenti del team di Nirmal Purja, guidati dal loro carismatico leader: Mingma Tenzi Sherpa, Gelje Sherpa, Pem Chiiri Sherpa, Mingma Gjabu Sherpa (David) e Dawa Temba Sherpa.   

I summiters hanno affrontato e superato con successo nelle prime ore del tentativo (iniziato all'una di notte locale) i due passaggi chiave del Bottleneck (Il Collo di Bottiglia - scenario del "caso Bonatti di cui sopra - sovrastato dal Grande Seracco che incombe sulla via) e poi l'altrettanto impegnativo Traverso lungo il quale la colossale struttura di ghiaccio progressivamente si spegne. Da lì in avanti le difficoltà si sono attenuate ma la fatica, l'aria rarefatta e poverissima di ossigeno delle altissime quote, oltre alle temperature polari, hanno accompagnato gli alpinisti fino al pendio sommitale: i primi a raggiungerlo hanno poi atteso i loro compagni d'avventura a pochi passi dal... traguardo, allo scopo di mettere tutti insieme piede (sembra intonando l'inno nazionale nepalese), sulla vetta del K2/Chogori, la seconda montagna più alta del pianeta dopo l'Everest, che però rispetto al Tetto del Mondo propone maggiori difficoltà logistiche ma soprattutto tecniche.

 

Sarà  necessario attendere la testimonianza diretta degli alpinisti  per conoscere i dettagli della performance ed in particolare capire quali e quanti dei componenti del team di vetta abbiano (eventualmente) fatto uso delle bombole di ossigeno. Intanto occorre sottolineare l'appartenenza della quasi totalità del team di vetta (nove elementi su dieci) al gruppo etnico degli Sherpa,originario del Tibet orientale (a nord dell'Himalaya) e poi spostatosi in Nepal, sul versante sud della catena montuosa. Nel giro di pochi decenni i climbers nepalesi (e quelli pakistani) sono passati dal ruolo di semplici portatori di materiale verso i campi base delle montagne più alte della Terra a scalatori in grado di seguire e coadiuvare gli alpinisti di tutto il mondo sugli ottomila di Himalaya e Karakorum (regione nella quale si trova proprio il K2). Stagione dopo stagione, gli Sherpa si sono emancipati, dando vita ad un riscatto che li ha gradualmente portati fuori dal "cono d'ombra" proiettato dall'alpinismo anglosassone prima e più ampiamente occidentale poi, fino ad assumere un ruolo attivo ed a prendere "possesso" delle  loro montagne, o meglio di un ruolo attivo sulle loro montagne, da protagonisti. Come guide in grado di attrezzate con corde fisse gli itinerari ed  accompagnare i clienti lungo itinerari sempre più impegnativi, come titolari di agenzie in grado di organizzare spedizioni commerciali ed infine come alpinisti di valore assoluto. Come nel caso di Nirmal Purja che - dei dieci uomini in vetta - è l'unico non di etnia Sherpa (è infatti un Gurkha) ma senza ombra di dubbio quello più conosciuto, grazie al primato che il 37enne alpinista nepalese (oggi uno dei personaggi più influenti del suo Paese) ha messo a segno nel 2019, raggiungendo nell'arco di sei mesi e sei giorni (189 giorni in totale) la vetta di tutti i quattordici "ottomila". Non senza polemiche, legate all'utilizzo di "aiuti" quali l'ossigeno supplementare e gli elicotteri per gli spostamenti da un campo base a quello successivo.

Polemiche sollevate anche dal numero elevatissimo di persone che hanno affollato nelle scorse settimane il campo base del K2: una settantina di alpinisti, ai quali aggiungere tutto il personale di supporto. Molti di loro componenti della gigantesca spedizione commerciale dell'agenzia - nepalese, appunto-  Seven Summit Treks. Fortunatamente però, a differenza di quanto avvenuto in altri casi, le spedizioni impegnate contemporaneamente (ed inevitabilmente) a stretto contatto sulla cresta sud-est hanno evitato di mettersi in diretta competizione ed hanno al contrario unito le forze e collaborato, stringendo d'assedio la montagna. Fattore che si è rivelato fondamentale (insieme alla "finestra" di tempo buono e soprattutto stabile) e con ogni probabilità decisivo per scrivere una pagina memorabile di storia dell'alpinismo, purtroppo però terminata con la scomparsa di Sergi Mingote.

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