IL COMMENTO

Scudetto Inter: Antonio Conte, oltre i limiti. E quel 30% in più...

Nessuno come il tecnico nerazzurro sa far crescere e migliorare i giocatori 

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Ci sono alcuni momenti fondamentali nella storia dell’Inter di oggi. E ci riportano alle decise prese di posizione di Beppe Marotta prima, di Antonio Conte poi. Andiamo con ordine. Estate 2019, l’Inter è reduce dal quarto posto in campionato: mi trovo nella nuova sede di viale della Liberazione e nel corso di una chiacchierata amichevole chiedo a Marotta per quale motivo abbia deciso di investire sull’allenatore - Conte al posto di Spalletti - e non su giocatori più forti. La risposta dell’amministratore delegato nerazzurro è perentoria: “Perché con Conte, una squadra migliora del trenta percento, e ne parlo per esperienza diretta!”.

Non saprei dire se la percentuale sia oggi riscontrabile attraverso i numeri, ma di certo l’Inter ha fatto un triplo salto passando in breve tempo dal quarto, al secondo e infine al primo posto, con tanto di scudetto dopo 9 anni di egemonia juventina. A quei tempi l’Inter aveva ancora in piedi la trattativa con Dzeko. Ma Conte - che , sia chiaro, stima il bosniaco - fa il diavolo a quattro: vuole assolutamente Lukaku, l’unico attaccante che ritiene imprescindibile al suo sistema di gioco. E questa seconda presa di posizione - dopo quella di Marotta - risulterà essere decisiva per le fortune dell’Inter. Proviamo per un attimo a pensare ad un’Inter senza Lukaku. Forse meglio di no.

Marotta accontenta così Conte, il resto è storia che passa attraverso i due secondi posti della passata stagione - in campionato e in Europa League - e arriva allo scudetto atteso da 11 anni. Conte è l’autentico demiurgo di questo successo. Lo strizzacervelli che ha instillato nella testa dei giocatori la convinzione di poter arrivare dove non pareva possibile. Il manager che coadiuvato dall’abilità diplomatica di Lele Oriali ha lasciato fuori dalla Pinetina (lungi da me l’idea di chiamarla Suning Training Center) tutte i problemi societari. Il tecnico che ha saputo inventarsi un sistema di gioco propedeutico per mascherare gli evidenti difetti della rosa e esaltarne i pregi.

L’Inter è forte fisicamente ma non ha - tranne Lautaro Martinez - giocatori in grado di saltare l’avversario in dribbling nell’uno contro uno, di inventare, di fare la differenza. Hakimi, per esempio, è un treno, ma quando prende velocità; Eriksen calcia divinamente di destro e pure di sinistro, ma non brilla in quanto a dinamismo. Sicchè ha costruito un sistema vincente (riveduto e corretto dopo gli scricchiolii difensivi d’inizio stagione) basato sul baricentro basso, e sulla ricerca degli spazi per favorire le ripartenze dei suoi velocisti, innescati dal ruolo-perno di Lukaku, suggeritore e poi finalizzatore della manovra. Un gioco che, ammettiamolo, spesso non è piaciuto agli esteti del calcio. Ma è piaciuto ancor di meno agli avversari.

Conte ha migliorato, grazie alla quotidianità del lavoro, il rendimento di tutti i suoi giocatori. E conseguentemente quello della squadra. Ha vinto perché conosce la dura strada lastricata di ostacoli che porta alla vittoria. Ma non gli basta. Il futuro si chiama Europa, una sfida dopo tante uscite a vuoto. Un tabù che potrà sfatare solo se la società gli permetterà alcuni ritocchi decisivi all’opera d’arte appena terminata. In caso contrario...

Ma forse non è tempo di guardare così avanti. Dopo undici anni d’attesa l’Inter ha vinto. Anzi, ha stravinto. Il seguito alla prossima puntata.

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