Storia romantica del mercato di riparazione 

Quando le squadre si aggiustavano tra ottobre e novembre

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Le prime piogge, l’odore delle caldarroste, le chiome arancioni dei platani, le giornate più corte. Ebbene sì, è arrivato l’autunno. Con la scuola e i compiti a casa, certo. Ma anche con il pallone: la Serie A, le Coppe, le partite vere. E poi gli album dei Calciatori della Flash distribuiti fuori dal cancello delle scuole con le prime bustine, tutto gratis. E ancora: 90’minuto per i gol in tv in bianco e nero (ancora per poco, alleluia) e l’immancabile Guerin Sportivo, il vangelo a colori di noi appassionati sognatori di calcio. E a proposito di sogni, dopo le prime giornate di campionato, ecco la riapertura del mercato.

Seconda metà di ottobre, con scavallamento talvolta ai primi di novembre. Una finestra che rimaneva aperta per una quindicina di giorni per consentire alle squadre di cambiare aria, dando una sistemazione alle proprie rose. Era l’ultima campagna di trasferimenti concessa, dopo la grande bagarre dell’estate. Il mercato di riparazione. Così veniva romanticamente chiamato, immaginando con plausibile fondatezza che qualcosa da aggiustare ci fosse un po’ ovunque, sia in entrata che in uscita.

La prima volta accadde nell’ottobre 1960, quando gli organi massimi del governo del pallone decisero per la riapertura temporanea delle liste dopo la fiera estiva. Una svolta regolamentare al passo con i tempi, ma che venne introdotta a stagione già iniziata (ottobre, appunto) e senza limiti cogenti, al punto da rendere tutti i tesserati potenzialmente trasferibili anche nella stessa serie. Che la novità avrebbe potuto scatenare accese polemiche era in re ipsa. E, puntualmente, il caso scoppiò.

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