Dalla porta dell’Ecuador all’inferno

Cristhian Rafael Mora racconta il suo calvario

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“Ho giocato i mondiali con il ginocchio destro che dopo ogni partita si gonfiava come un melone. Non dovevo solo combattere col dolore, ma anche eclissare all’allenatore e ai compagni la mia infermità. Tutta colpa di un menisco rotto. Non l’ho detto a nessuno. Altrimenti non mi avrebbero mai autorizzato a giocare”. Una Coppa del Mondo, soprattutto se sei nato in Ecuador, ti può capitare una sola volta nella vita e certe occasioni vanno prese al volo, anche in condizioni precarie. Ci ha impiegato più di tre lustri Cristhian Rafael Mora, guardiano dell'Ecuador al torneo iridato tedesco, a fare coming out, raccontando tutto d’un fiato quel fardello ingombrante che si portava dentro, “e che a volte non mi consentiva neppure di dormire”.

L’Ecuador del timoniere colombiano Luis Fernando Suárez era anche quella del “Tin” Delgado, di Ivan Hurtado e di Ulisses De La Cruz (tutti e tre parlamentari nell’ex governo dell’economista Rafael Correa) e dell’ex “perugino” Iván Kaviedes, una squadra temibile che risultò essere la vera sorpresa della prima fase del mondiale. Perse con Germania (Podolski e doppio Klose) come da pronostico, ma si qualificò al secondo turno dopo aver liquidato il Costarica, e soprattutto la Polonia di Boruc e Smolarek jr.

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