Otto sono tanti e Andrea Agnelli è già oltre

E se lo juventino ora è anche viziato, annoiato e autocritico ben venga

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Otto sono tanti, sono pesanti, sono impressionanti. E se lo juventino ora è anche viziato, annoiato e autocritico ben venga: fa rumore bianco su sfondo nero. Alla società fa da stimolo, all'allenatore fa da termometro. Entro così subito a piedi uniti circa la questione Allegri: se è legittimo il dibattito di prospettiva (anno su anno) in società, è altrettanto naturale che il dibattito possa diventare anche feroce tra i tifosi. In fondo, a ognuno il proprio mestiere - meglio così - in un sistema in cui la Juventus stravince chiamando l'Italia ad adeguarsi. Un sistema che non può scoprirsi sempre vecchio, se non per alcune regole del campo, e dove le competenze fissano una volta per tutte la differenza tra ciò che è oggettivamente popolare e ciò che è illusoriamente democratico.

Riparte da qui Andrea Agnelli, da un cammino tutto italiano e molto europeo senza precedenti nella contabilità sportiva, con la discriminante di una finale di Champions persa o vinta, giocata o non giocata, ritenuta troppo facile o troppo difficile. Chi conosce Agnelli sa che ripartirà (anzi, è già ripartito) dall'ora e adesso, dalle immagini private - che sono sempre le più spontanee - di uno spogliatoio che sembra il primo scudetto e invece è l'ottavo ovvero il trentasettesimo che anche se fossero trentacinque ormai non ci fanno più caso neppure all'estero. E' talmente tanto, la sua Juventus, che è più calcisticamente profondo leggere confronti serrati tra juventini che tra campanili diversi. E' talmente tanto, arriverei a dire, che Agnelli non sbaglia se pensa e agisce come uomo che non ha niente da dimostrare a nessuno. Perché scrivo questo: perché un crudo e puro - quando è anche lucido e freddo - è l'avversario più spietato non solo di chi fa rumore, ma soprattutto dei suoi peggiori imitatori. Non ci sono più crediti per Allegri, accumulati senza discussioni nei primi tre anni della sua gestione, perché ci sono due partite pesantissime allo Stadium (Real Madrid 2018 e Ajax 2019), nella casa del progetto sportivo e industriale nella testa di Agnelli, che hanno messo le cose in pari. Lucido, freddo e spietato, Agnelli sta dunque per giungere al dunque sulla prossima guida tecnica - magari proprio Allegri, ma i giochi non sono per nulla fatti - colui che dovrà assortire le peripezie di Cancelo e le manie di Cristiano Ronaldo, le smanie di Emre Can e le fantasie sui nomi del prossimo mercato di cui Aaron Ramsey è già antiquariato. C'è però a conti fatti un'eredità chiara per ogni stagione, e questa è stata la stagione che ha consegnato Wojciech Szczesny alla Juventus. Un portiere, e chi è juventino ha capito benissimo cosa si intende: un portiere. Preso atto di questo, la Juve è ormai stabilmente all'ultimo piano della piramide del calcio mondiale, piano dove non esistono crediti per i calciatori, se non a questo punto per gli unici ad esserci stati sin dal primo giorno: Barzagli e Chiellini. Per loro, Juventus per sempre sarà.

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