L'Inter dopo la gioia

Ancora una volta in Champions, ma questa volta le tante, troppe lezioni vanno imparate davvero

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A 48 ore di distanza dalla spremuta di emozioni bevuta a fatica domenica sera, assodata l'importanza e festeggiato il risultato, più per come è arrivato che per l'eccezionalità di un evento che sembrava consolidato solo due mesi prima, ci sono da fare i freddi calcoli per pianificare una prossima stagione senza ripetere i soliti errori che da anni illudono un pubblico che resta vicino alla squadra, più di ogni altro, dati delle presenze allo stadio alla mano. Prima di tutto fa impressione che l'Inter abbia chiuso due anni consecutivi al quarto posto, conquistando il diritto a partecipare alla Champions League, attraverso due spareggi, con colpi di scena a ripetizione culminati con il gol decisivo, in entrambi i casi al minuto 81. Un dato quasi paranormale, specie perché il protagonista è sempre lo stesso: Matias Vecino. L'anno prima con il gol di testa alla Lazio, quest'anno con l'iniziativa che ha colpito il palo ma trovato Nainggolan.

Se qualcuno non crede nelle casualità è il momento di farsi avanti, perché tra le tante beffe subite da questa squadra nella storia, ci sono altrettante vicende a lieto fine come questa da raccontare, con in più un condensato di coincidenze e personaggi che, nella sera decisiva contro l'Empoli, vedono protagonisti su tutti Handanovic (vero eroe della serata), Vecino, Keità, Nainggolan (per il gol) e D'Ambrosio (per il salvataggio decisivo). Mai come in questa occasione però i tifosi, pur esausti e felici per le fatiche di una partita giocata con la testa, sono d'accordo che ci siano molte cose da cambiare, perché è stata una stagione anomala su cui ci sono forti perplessità.

Il primo a pagare sarà Spalletti, sacrificato per far posto a Conte, con tanto di coda al veleno che lo stesso ormai ex allenatore ha espresso nel dopo gara, quando affermava che ci sarebbe da imparare da Agnelli nel modo di gestire un esonero. Non ha torto ma, come troppo spesso gli è capitato, non è lui che doveva dire queste cose. Rendere di nuovo l'Inter una società vincente non è più una questione delegabile a uomini del destino, nemmeno se si chiamano Antonio Conte o fosse pure l'allenatore che preferite. A differenza di soli dieci anni fa oggi contano fatturati, stabilità, organizzazione interna e grande strategia progettuale. L'Inter ha ancora un'anima naif, pur volendo cambiare pelle per poter competere ad alti livelli. Mentre il calcio cambiava il club era concentrato su come risollevarsi dal debito, restare nei paletti del fair play ed essere comunque competitivi. In parte ci è riuscita, in parte no ma ora il consolidamento c'è, il settlement agreement è svanito e le giustificazioni non ci sono più. I prossimi giorni parleremo di tutti i punti su cui l'Inter deve lavorare ma la nuova era, per quanto faticosamente, sembra qualche centimetro più vicina.