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La guerra di Mario Mandžukić

Un uomo contro lo spirito del suo tempo

23 Dic 2020 - 08:36

Li, fu, jia, xin. Letteralmente, dal cinese: forza, fortuna, famiglia, fiducia. Mario Mandžukić ha queste quattro parole tatuate sull’avambraccio destro. L’inchiostro sulla pelle però è soltanto un riflesso di valori che in realtà Mandzukic ha impressi nell’anima, qualcosa che si riesce a distinguere spesso in chi viene fuori da situazioni difficili com’era la sua. Ancora di più in chi lo fa con prepotenza, come se non ci fosse una maniera diversa di vincere dallo schiacciare gli avversari, magari saltandogli in testa.

“Non esiste uomo tanto folle da preferire la guerra alla pace: con la pace i figli seppelliscono i padri, con la guerra sono i padri a seppellire i figli” (Erodoto)

Papà Mato a seppellire i suoi figli non ci pensa nemmeno. Eppure fuori dalla porta della famiglia Mandzukic, quando il piccolo Mario ha solo sei anni, c’è la guerra. Fuggire da Slavonski Brod è una scelta quantomeno comprensibile, e la fuga riesce. La nuova vita a Ditzingen, nel sud-ovest della Germania, non è semplice ma almeno è libera. Mario cresce qui e scopre una passione, non a caso la stessa di suo padre, il calcio. Poi nel 1996 a Mato viene negata l’estensione del permesso di soggiorno. In compenso, in Croazia la guerra è finita.

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