Il totalitarismo di Novak Djokovic

Nole contro tutti

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Ieri sul Philippe Chatrier, all’incirca alle cinque del pomeriggio, sembrava stesse calando il sipario su un’era sportiva. Dopo Roger Federer, costretto a ritirarsi dallo Slam francese per preservare il fisico in vista di Wimbledon, e Rafael Nadal, detronizzato a Parigi e che già avanza dubbi sulla sua partecipazione allo Slam londinese, il terzo dei grandi tenori, proprio il regicida di Rafa nonché numero 1 del mondo Novak Djokovic, si trovava sotto di due set contro Stefanos Tsitsipas, il volto più brillante della (ex) nuova generazione. Non certo l’ultimo arrivato, se è vero che nella cosiddetta “Race” (la classifica che valuta esclusivamente i risultati del 2021) il ventiduenne greco precedeva lo stesso Nole sul gradino più alto del podio. Il primo paradosso sta qui: Djokovic, pur meritatamente in svantaggio di due set, non è mai stato davvero vicino alla sconfitta.

Certo, dopo aver perso un primo parziale equilibrato il serbo è stato addirittura surclassato da Tsitsipas nel secondo: fisicamente, tecnicamente e tatticamente (tre aspetti decisamente legati tra di loro). Il greco comandava il gioco, si spostava costantemente di dritto e imponeva il ritmo alla partita: Djokovic al contrario, la cui palla non riusciva a viaggiare veloce, era costantemente in ritardo e in evidente difficoltà fisica; d’altronde sconfiggere Nadal al Roland Garros – appena due giorni prima e dopo quattro ore di battaglia atletica ma ancor prima psicologica – oltre ad essere “un giorno da ricordare per tutta la vita” è anche una garanzia di fisiologico svuotamento.

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