Gattuso, ecce homo

Il cuore, le radici e le idee di Ringhio

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Secondo John Berryman, molti uomini vivono senza sapere se sono o meno dei codardi. Molti, ma non Gennaro Gattuso. Gattuso è un duro che si definisce impulsivo e adrenalinico. A guardarlo sembra brutto e triste come il Milton di Fenoglio. È un Humphrey Bogart dallo sguardo umano, un lavoratore che bagna quotidianamente la polvere del suo troppo sudore. È un uomo d’altri tempi, figlio di un calcio che ormai non esiste più.

È un uomo umile, uno che in un mondo di luci non si sente nessuno e che arrivato al successo non ha mai dimenticato la sua terra. La provincia non è futile materia di ricordi, ma concreta stella polare dei suoi giorni. È un modo di essere, un fattore identitario. La Calabria per Gattuso è ovunque: nei suoi gesti, nel suo sangue e persino nelle sue parole:

“Mia moglie è italo-scozzese e molto spesso pensa in una lingua e parla in un’altra. Io uguale: penso in calabrese e parlo in italiano. Devo fare uno sforzo per trasformare dal dialetto all’italiano. È giusto così: ho lasciato casa a 12 anni, i miei genitori vivono giù. Quando uno porta avanti le origini e le tradizioni poi gli rimangono sempre dentro […]

Anche quando sogno lo faccio in calabrese. Sì, pure il mio inconscio parla in dialetto”.

Gattuso vive un paradosso. È ancora oggi vittima di una narrazione aberrante che lo ha sempre ingabbiato nel ruolo di quello grintoso ma limitato. In poche parole: Ringhio. La realtà è però ben diversa: Gattuso è un allenatore preparato e di alto livello. Il suo passato da cattivo non determina meccanicamente il suo presente, che è ricco di idee e contenuti.

Guardando una partita qualsiasi del Napoli si percepisce qualcosa di stridente. Da una parte c’è lui, paonazzo e smanioso in giacche troppo strette per contenere la sua rabbia; dall’altra la sua squadra, che produce un calcio piacevole, ricco di ordine e fraseggi palla a terra. Cercare il difensivismo è come pretendere di trovare una danzatrice nella Ballerina spagnola di Mirò. Lo spettatore deve farsene una ragione: le aspettative son destinate a rimanere disattese. Gattuso allenatore è radicalmente diverso dal Gattuso giocatore. L’emotività di ieri ha ceduto il passo a una rigida e maniacale programmazione: sui sentimenti e sull’impulsività prevalgono ormai i numeri e l’organizzazione.

E noi, ancora convinti che a dominare nel mondo del pallone sia la crudele imprevedibilità di Eupalla, gli uomini e non gli schemi, lo percepiamo comunque come un puro. È l’esempio di un’espressione oggigiorno abusata e quanto mai debole: è vero. In un calcio che vede dominare personaggi e non persone, maschere e non volti, Gattuso è l’eccezione che vorremmo ordinaria. È una specie in via d’estinzione, un oracolo di Delfi in un deserto di aridità contenutistica e di frasi convenzionali e stereotipate.

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