Per l'uomo prima che per il calciatore, al di là dei risultati
Sia chiaro, il problema Eriksen non diventa eclatante oggi che l’Inter non ha passato i gironi di Champions; non è un pesantissimo quarto posto a manifestarlo. Il punto non è nemmeno che il danese è stato uno dei più vogliosi in campo, seppur rimasto inspiegabilmente in panchina per 84 minuti. Il problema Eriksen non nasce né si pone oggi poiché l’Inter ha perso: i tifosi nerazzurri infatti, mai stati risultatisti come altri, non hanno ceduto al ritornello del vincere è l’unica cosa che conta. E proprio per questo, anche quando si vinceva, hanno difeso e protetto il trequartista ex Tottenham:
il calciatore certo, ma ancor prima l’uomo e il professionista, marginalizzato – quando non sportivamente umiliato – da Antonio Conte.
Probabilmente neanche se l’aspettava, lo stesso Conte, tutte queste storie su Christian Eriksen. D’altronde nel momento in cui si vince poco importa chi è stato decisivo. Vince il gruppo, il singolo può (deve) attendere silente il suo turno. Tuttavia quello inflitto a Eriksen non è solo un accanimento senza spiegazione, ma fine a se stesso. Una storia con un protagonista, Antonio Conte, che mette in pericolo un altro attore, Conte Antonio. Come ieri sera, quando il tecnico ha ritardato i cambi di buoni 15-20 minuti e forse quello di Eriksen l’ha ritardato di 84, preferendo spremere giocatori come Barella al limite del possibile. E poi inserendo il danese perché, come detto ai microfoni, “Lautaro non ne aveva più”.