Andre Agassi e la morte del padre

Nel tennista americano tutta la psicologia del Novecento

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Non è possibile parlare di Andre Agassi senza parlare anche della sua ombra: il padre. Come ci dice Open, l’iraniano Emanoul Aghasi ha obbligato il figlio a giocare a tennis.

Emanoul è un ex pugile olimpionico. È un uomo forte, d’altri tempi. Sembra appartenere alla letteratura modernista di primo Novecento. Così come i padri dei romanzi di Svevo, Tozzi o Kafka, è assolutamente dominante. È certo e consapevole del suo mondo di valori, che infatti non mette mai in discussione. Con lui è impossibile impostare un dialogo: a regnare è sempre l’incomunicabilità. È un uomo rozzo, il cui passato da pugile non fa altro che esacerbare la sua idea di vita come lotta. Non crede nei compromessi: o si vince o si perde. O si vive o si muore. È inoltre incapace di mostrare amore o comprendere le esigenze affettive dei figli: i momenti di tenerezza in famiglia sono pressoché assenti.

“Papà ci è venuto a prendere e mentre attraversiamo il McCarran Airport dico a Philly che ho preso una grave decisione. Abbraccerò pa’. […] Gli corro incontro, gli butto le braccia al collo e stringo. Lui non si muove. S’irrigidisce. È come abbracciare il pilota. Lo lascio andare e mi dico che non ci proverò mai più”.

 

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