Secondo Eduardo Galeano «ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa lì ricomincia la storia del calcio». Vale allora la pena prendere per mano questo bambino immaginario e condurlo fino alle origini del football. Per scoprire che il calcio è roba da dilettanti. Almeno ai suoi primordi.
«Il pericolo, per noi moderni, sta nella tendenza a considerare tutte le teorie degli altri tempi e dovute ad altre condizioni come assolutamente prive di valore e nel ritenere valevoli solo le nostre.
Noi ci consideriamo come quelli che primi raggiunsero nuovi ed originali punti di vista, ma “nihil sub sole novum”, dice il vecchio adagio, e non dobbiamo dimenticare la critica di Mefistofele: “Nulla si può pensar di dritto o torto che pensato non abbia il mondo antico”».
È una frase di James Richardson Spensley, tra le tante cose fondatore della sezione football (avviata nel 1896) del Genoa Cricket & Football club 1893. La frase di Spensley compare in epigrafe al sontuoso L’età dei pionieri. Football 1898-1908, curato dalla Fondazione Genoa, ed è tratta da Teosofia moderna, un libretto dello stesso Spensley – che oltre a essere footballer, fu anche medico, filantropo, studioso di lingue, filosofie e religioni antiche, e tra i padri dello scoutismo – recentemente ristampato dall’editore genovese Fabrizio Calzia. L’eclettismo di Spensley, valutato oggi, traccia differenze abissali con l’immagine che noi abbiamo dei calciatori.
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