Nella finale dei Mondiali del 1986 “el Mandrake” alza la coppa
A volte basta percorrere venti metri, colpire la palla di tacco, rimanendo in campo ottantasette secondi, e diventare campioni del Mondo. Per ragguagli chiedete a Marcelo Trobbiani, “el Mandrake” del calcio argentino, che ha sollevato al cielo l’ambita coppa all’Azteca con Maradona e Burruchaga. La sbornia del 1986 ha finito per contagiare anche lui, l’ultimo degli iridati, se non altro per minutaggio. “Sono campione a tutti gli effetti – ci tiene a sottolineare il 65enne ex centrocampista – e a momenti con quel colpo di tacco in faccia a Briegel stavo favorendo un gol in contropiede di Hector Enrique”.
Pochi istanti dopo arrivò il triplice fischio del signor Arppi Filho e l’Argentina, senza un solo attaccante di ruolo, vinse il Mondiale. “Nessun attaccante, ma con Maradona in campo e Bilardo in panchina tutto poteva accadere lo sapevamo bene. Quando partii per il Messico dissi ai miei compagni di club che sarei tornato con la coppa tra le mani. Loro si misero a ridere. Giocavo nell’Elche, in Spagna, inferno della seconda divisione, ma pagavano bene”.
Per gli annali Trobbiani è stato l’unico giocatore argentino di Serie B a vincere un Mondiale, convocato da Bilardo forse più per scaramanzia che per fondamentali e riconosciute doti tecniche. “Ero amico di Valdano – ricorda – il nostro era un rapporto fraterno e Jorge ha sempre avuto un carattere piuttosto nervoso e polemico. Io riuscivo a calmarlo, era la mia specialità. L’allenatore mi chiamò nel gruppo e mi sistemò nella stessa camera”. Inutile sottolineare che Valdano disputò un torneo da dieci e lode. Dieci come la maglia del Pibe Maradona. “Ci siamo conosciuti ai tempi del Boca Juniors, io però ho dovuto lasciare Buenos Aires e accettare il primo contratto utile dall’Europa. Si fece avanti l’Elche e firmai. Avevo bisogno di soldi. Il Boca non navigava nell’oro e la panetteria di mamma e papà non faceva più affari come un tempo. Erano gli anni della dittatura. Arrivi a 21 anni e ti accorgi di essere il capofamiglia”.