L’ennesima vita di Hidetoshi Nakata

Viaggio interiore del centrocampista giapponese che si è ritirato a 29 anni per scoprire il suo ikigai

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Una lampada oscilla leggera, appesa in aria, ha solo un bordone di ferro che l’avvolge a forma di pera, è nuda, priva di orpelli, non riparata dal vetro, esposta al sole e alla pioggia, al vento e al freddo senza fare resistenza, la sua essenzialità viene sottolineata dal rintocco di un orologio che l’accompagna fino a quando ci accorgiamo che non si trova in casa ma in strada; è la prima scena di “Hitori musuko” (Figlio unico), film del grande regista Yasujirō Ozu.

La vita di Hidetoshi Nakata è un po’ come quella lampada, rigorosa, bella, poco attratta dal superfluo, è ikigai, concetto giapponese che significa “ragione d’essere“, la sua scoperta porta soddisfazione e dà senso alla vita, questa soddisfazione viene adoperata per indicare eventi mentali e spirituali in cui gli uomini sentono che le loro vite sono uniche. Non è, dunque, legata alla condizione economica o al prestigio sociale, che ha un valore più distruttivo che creativo; tutti, secondo la cultura giapponese, hanno il proprio ikigai, trovarlo richiede però ricerca interiore spesso lunga e difficile, combattuta tra necessità e equivoche ambizioni.

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