QUATTROTRETRE

La maledizione dei portieri portoghesi

In pochi anni si sono spenti in giovane età quattro estremi difensori della selezione lusitana.

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Neppure Glen Morgan, il papà della saga di Final Destination, probabilmente avrebbe osato tanto. Prendere i quattro portieri della nazionale portoghese, per poi farli morire uno dopo l’altro. Dieci anni fa, esattamente in questi giorni, perdeva la vita a 55 anni Antonio Jesus, numero uno del Vitoria Guimaraes, stroncato da un infarto. Tutto però era iniziato nel 1990, quando il trentenne Zè Beto, guardiano del Porto (e finalista contro la Juve in Coppa delle Coppe nel 1984), si schiantò con la propria auto all’altezza di Santa Maria da Feira. Nel 2003 toccò a Vitor Damas dello Sporting Lisbona, divorato da un cancro a 55 anni. E quattro anni dopo un attacco di cuore strappò dalla terra Manuel Bento del Benfica.

Aveva 58 anni. Il meno noto, e probabilmente il meno affidabile, dei “quattro moschettieri” lusitani era Antonio Jesus, catapultato in nazionale nel 1986 più per congiunzioni astrali favorevoli che per meriti. Per comprendere i motivi dell’improvvisa ribalta bisogna tornare indietro fino a domenica 25 maggio del 1986. Al momento di scendere in campo per l’amichevole contro il Monterrey, il capitano Bento (proprio lui) e gli altri 21 calciatori del Portogallo incrociarono le gambe. Si ammutinarono, rifiutarono di giocare, minacciando uno sciopero a oltranza. Diventarono i ribelli di Saltillo, dal nome della località dove si trovavano in ritiro in vista del mundial messicano. La vicenda durò a lungo, ben oltre la Coppa del Mondo, fra un susseguirsi di polemiche, lotte interne, piccole meschinità e grandi vendette.

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