Milan, minestra o finestra

Proviamo a battere la strada di un nuovo progetto, benché obbligato

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C'è da dire che di tempo, almeno, se ne è perso poco. Meno di 48 ore dopo quella stramaledetta autotraversa di Danilo D'Ambrosio che poteva cambiare il finale, al Milan hanno premuto insieme i fatidici tasti control-alt-canc. Li ha premuti Rino Gattuso, che non era tenuto a farlo: l'eclatante, inedito, immenso atto della rinuncia pecuniaria ha messo in secondo piano la coerenza, la consapevolezza nel dire no a un terzo atto in cui il copione, ancora una volta, sarebbe stato scritto da altri. Li ha premuti Leonardo, figura ben più controversa, più coinvolta negli inciampi che hanno pregiudicato il raggiungimento degli obiettivi: e pur sempre centrale, di riferimento in una società ancora acerba. Ha portato a premerli Ivan Gazidis, che con quel comunicato emesso poco dopo il fischio finale di Spal-Milan seguito dalle dichiarazioni programmatiche rilasciate alla Gazzetta, ha di fatto dato il via alla fase due del Diavolo by Elliott. Quello vero, quello che mette nero su bianco la mission perseguita fin dal principio: rimettere in sesto la scatola Milan senza iniettare vagonate di soldi, metterci dentro contenuti importanti – tipo lo stadio - e rivendere al miglior offerente, meno tempo ci si mette, meglio è. Elliott è un fondo di investimenti a larga, larghissima scala, uno dei più grandi del mondo. Agisce a scopo di lucro, per consentire agli investitori di realizzare guadagni.

Non è un mecenate e tantomeno un tycoon che investe privatamente per avere un tornaconto personale, economico o di immagine. È apparentemente banale ricordare questo aspetto, ma è forse necessario quando si comincia a leggere sui bennati social network e a sentire nella ciarla calcistica col tuo prossimo il lamento già degenerante nella critica e nella protesta forte: l'hashtag #gazidisout – variante #elliottout – è già cominciato ad affiorare, così come in maniera più sfumata molte bocche assumono una piega da dispetto perché l'a.d. conferma papale papale che la ricostruzione del Milan sarà a passi piccoli e costanti, e condotta tramite politiche che certamente non saranno da big del continente, che non potranno rinfocolare immediatamente una grande ambizione. Nessuno si mette a fare le capriole sul prato, chiaro: però è anche tempo – per tutti – di venire a patti con la realtà, e contemporaneamente riattivare qualche circuito della memoria, tanto si tratta di roba recente. Dovremmo deprimerci, o rifiutare a priori l'orizzonte di scelte tecniche capaci di generare plusvalenze, prendendo e valorizzando prospetti: marciando spesso su costi zero o, al contrario, spendendo random in mille operazioni “per il presente" (vero, Mirabelli e Fassone?), dove è approdato il Milan, sul campo, negli ultimi sette anni? Meglio fare contratti multistagione e multimilione ai Mexes e ai Montolivo? Cacciare 20 milioni sull'unghia per Bertolacci è meglio che provare a investire su un giovane? Lo sappiamo bene, invece, dove sia approdato fuori dal campo, ovvero in quei continui, agghiaccianti “rossi" di bilancio che hanno spinto l'Uefa a metterci spalle al muro. Quindi, proviamo a battere la strada di un nuovo progetto, benché obbligato.

L'importante sarà affidarlo a buone mani, quelle dell'allenatore, quelle – ci auguriamo – di Paolo Maldini, la cui scelta sarà un grande indicatore della reale “road map" della società e dei Singer. Che sono lì – ed ecco l'esercizio di memoria – non perché irresistibilmente attratti dal fascino del Milan, ma perché soggetto fondamentale di un piano partito da lontano e che prevede in realtà partite molto più importanti, lucrose e strategiche di quelle che si disputano a San Siro: Elliott, ricordava Gazidis, ha salvato il Diavolo dalla bancarotta, e stava lì per quello. Ora lavora per se stesso, e il traguardo può coincidere con quelli parziali della risalita rossonera: per questo va assicurata una fiducia almeno a medio termine. Per il sospirato ritorno nell'Olimpo del pallone o comunque a una filosofia “no limits”, bisognerà poi attendere una nuova, grande proprietà: quello sarà il momento del vero, totale ctrl-alt-canc, della rottura col passato. Prima, adesso, bisogna solo starsene buoni. Mangiare la minestra o saltare la finestra, ci dicevano i nostri padri quando facevamo gli schizzinosi. Ecco, siamo sempre abbastanza in alto e sotto c'è il vuoto creato da quelli prima: vai con la minestra, testa nel piatto e chissà che alla fine ci piaccia pure.