Quando la nostalgia diventa creatrice
Com’era la storia degli amori che fanno giri immensi, poi ritornano etc? Frase da baci perugina ma stavolta appropriata per descrivere un rapporto, quello tra Zeman e Foggia, che ha delineato i contorni di un amore collettivo, intenso, giovanile. E pensare che Zeman ha ora 74 anni, e torna sulla panchina foggiana dopo 35 anni dalla prima volta (1986) e dopo un trentennio da quello storico “Foggia dei miracoli”. Una squadra che conquistò tutta Italia, e che soprattutto rappresentò per i foggiani il momento più alto dei 101 anni anni di storia rossonera: chi può dimenticare, soprattutto in Puglia, il trio delle meraviglie nonché miglior attacco della Serie B composto da Baiano, Signori e Rambaudi? Fu presto promozione in Serie A, ma anche un capitolo nella storia del calcio del nostro Paese: era nata “Zemanlandia”, la terra calcistica dell’utopia e della bellezza, forse nel luogo più inaspettato.
Per questo Foggia e il Foggia non dimenticano: perché non è stato solo calcio, ma il rapporto costruito con un popolo che nel calcio ripone da sempre speranze e volontà di rivincita. Pensiamo anche al 2010, quando Zeman tenta nuovamente l’avventura in rossonero: miglior attacco della categoria (e, in pieno stile zemaniano, la peggior difesa), reparto composto da Marco Sau e un giovane Lorenzo Insigne. Anche se la classifica proporrà a fine anno un Foggia sesto ed escluso dai play-off, ricordiamo ancora l’empatia di un’intera comunità verso un allenatore e il suo calcio; non solo pallone ma molto di più. Zeman, in uno dei luoghi più dimenticati d’Italia, assediato cronicamente da tante situazioni difficili, ha saputo portare risultati e bellezza. Laddove c’è anche uno storico detto, “fuggi da Foggia”, è rimasto nella città e lì ha fatto fiorire un sogno calcistico.
Come la fisica insegna, però, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Così ai pareri favorevoli si sono sommati quelli negativi, com’è naturale che sia. Pensiamo in particolare all’opinione di Alec Cordolcini sulle pagine del Fatto Quotidiano: un articolo critico e provocatorio (e già è molto, in una narrazione così appiattita) sia nel contenuto che nella forma, ma con cui non possiamo trovarci d’accordo. L’autore parla del ritorno di Zeman a Foggia come di un “riflesso pavloviano” (la relazione tra un impulso esterno e una reazione collegata, nel caso di specie lo scienziato Pavlov indusse un riflesso condizionato nei cani facendo associare loro il suono di un campanello alla somministrazione del pasto: il riflesso condizionato, al tintinnio, era la salivazione dei cani). Allo stesso modo, nell’articolo si critica una scelta nostalgica a cui i foggiani associano, per riflesso condizionato, le gioie di un’epoca lontana – e probabilmente irripetibile.