Il pallone è un linguaggio che riassume l'esistenza
Probabilmente la prima immagine che ci viene in mente di Pier Paolo Pasolini lo ritrae con gli occhiali scuri a celare uno sguardo assorto, durante uno dei suoi imperscrutabili silenzi; oppure ce lo figuriamo, un po’ visionario, mentre maneggia la cinepresa. Forse però è un’altra l’istantanea che ci restituisce la sua essenza con maggiore fedeltà: il Pasolini calciatore. Perché davvero, forse non esiste scena più vivida nel tramandarci la sua passione per la vita di una fotografia in cui rincorre un pallone.
L’amore per il calcio divampa con i primi calci sui Prati di Caprara nella natia Bologna, dove i compagni lo ribattezzano Stukas, come il temibile bombardiere della Luftwaffe, per la sua abilità realizzativa nel ruolo di ala. É la metà degli Anni Trenta, il decennio del Bologna “che tremare il mondo fa”, ma non sono i trionfi a far scoccare nel cuore di Pasolini la patologica passione per i Veltri: il poeta si ammala di tifo e soffre tutta la vita per i rossoblù, perché proprio sotto le Due Torri incontra il pallone per la prima volta.