La cabala del numero 7

Da Garrincha a Cristiano, passando per Best e Cantona

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La Logica può farsi da parte, se glielo impone la Storia. Non c’è altro modo per spiegare come un portiere col 3 cucito sulla schiena e un minorenne a cui il 10 è toccato in sorte condividano il campo con la più grande ala destra della storia, costretta a confondere gli avversari col dribbling e gli spettatori col numero di maglia, un 11 che tradizione e allenatori vogliono appartenga a chi si esibisce sull’altra fascia – nell’occasione il mancino Zagallo, con beffardo numero 7.

Svezia, giugno 1958. Il portiere è Gilmar, l’ala destra Garrincha e il minorenne Pelé. La numerazione è del tutto casuale: un funzionario della CBF, la Confederação Brasileira de Futebol, per rimediare alla dimenticanza del collega che ha inviato alla FIFA la lista dei convocati senza abbinare i nomi ai numeri, li assegna in maniera del tutto casuale perché digiuno di cose di campo. Il processo mitopoietico del “10” inizia così, per caso. Doppiamente per caso. Perché la titolarità di Pelé si concretizza solo nell’ultima partita del girone: o Rei, tronfio, afferma tuttora che a negargli il campo nei primi due incontri fu un infortunio al ginocchio.

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