Classismo e razzismo del rugby argentino

La palla ovale come specchio delle diseguaglianze sociali

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Durante i Mondiali di Rugby del 2015, la presenza di un Diego Maradona festante nello spogliatoio dei Pumas sembrava coronare il nuovo percorso del rugby argentino, esplicitamente teso alla nazional-popolarizzazione: uno sport storicamente considerato elitario che si apre al sentimento condiviso, con la sacra benedizione del Pibe de Oro.

Cinque anni dopo, è amaro constatare come sia stato proprio il timido omaggio dei giocatori a Maradona – un anonimo lutto al braccio nella partita con gli All Blacks, in contrasto con il sentito tributo neozelandese, diventato presto virale – a far riaffiorare il problema storico della palla ovale in terra rioplatense. La figuraccia internazionale ha infatti riaperto una ferita che sembrava essersi parzialmente ricucita negli ultimi anni, ma che ora si ritrova esposta al mondo. Il rugby in Argentina è da sempre associato in esclusiva all’upper class di Buenos Aires, la disciplina praticata dai giovani rampolli benestanti nelle università private della capitale.

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