Allegri, l'italiano perfetto

Intelligente, pratico e anti-dogmatico, anarchico ma conservatore

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Leggendo Gianni Brera, colui che è più o meno considerato unanimemente il padre nobile del giornalismo sportivo italiano, tra le tante cose balza subito all’occhio un dibattito di un’attualità quasi sconcertante: già allora infatti la stampa, assetata di bel gioco, tattiche innovative e schemi offensivi, iniziava a portare avanti la sua crociata ideologica e progressista, in sostanza con gli stessi argomenti odierni. L’obiettivo allora era il catenaccio, o più in generale quell’atteggiamento rinunciatario e conservatore tipicamente italiano, di quel conservatorismo pigro però, che in ultima istanza era nient’altro che un non mettersi in gioco, un rifiutare il confronto con il cambiamento. Brera al contrario rivendicava orgoglioso, basandosi non solo su valore della tradizione ma soprattutto sui risultati effettivi, il carattere tipicamente italiano anche nel calcio.

D’altronde noi, almeno dal secondo dopoguerra in avanti, siamo sempre stati avanguardisti (solo) nell’imitare gli stranieri: una costante e patologica esterofilia verso il progresso d’Oltralpe, d’Oltremanica o d’Oltreoceano che ci ha inoculato un patologico complesso di inferiorità. Eppure siamo italiani, per dio! Abbiamo dato alla storia più di chiunque altro, abbiamo fatto, plasmato, scritto e decorato la storia; siamo stati la storia. Una volta si parlava di “genio italiano” e non in patria, attenzione, bensì all’estero; nella letteratura, nel cinema, nelle arti. Fino al secondo ‘900 non erano solo i reazionari a chiamare in causa il carattere nazionale ma anche tanti pensatori comunisti, socialisti, democratici, liberali.

Posizioni che a sostenerle oggi, nell’epoca della fine della storia, per citare Fukuyama, ottengono biasimo se non pubblico ludibrio. Siamo sprofondati con tutte le scarpe, e con quel poco di cervello che ci è rimasto, nel totalitarismo “culturale” in cui le identità nazionali contano niente, sono puri costrutti sociali, archetipi collettivi che in realtà non spiegano nulla – e guai a obiettare qualcosa! Ebbene, noi andiamo in direzione ostinata e contraria. Crediamo nel determinismo ambientale anche nel calcio, in barba ad Arrigo Sacchi e compagnia cantante: siamo convinti che ogni Paese abbia la sua scuola, la sua tradizione sportiva, il suo “carattere nazionale”, che affonda le radici in una tradizione condivisa.

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