Aldo Montano, la scherma nel sangue

Cinque olimpiadi e non sentirle

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Aldo Montano entrò nella storia dello sport azzurro – e, nello stesso istante, del costume nazionalpopolare – con lunghi favoriti da poeta romantico a mandare in sollucchero le gentili telespettatrici italiane. E i palmi delle mani che, medaglia d’oro olimpica appesa al collo, sporse a favore di telecamere in mondovisione con quattro cifre sopra. 05 nella destra, 86 nella sinistra: tuttoattaccato 0586, il prefisso telefonico di Livorno. Un gesto tremendamente local e global al tempo stesso: in un’epoca ancora pre-social, va aggiunto. Quell’estate 2004, d’altronde, era un periodo da Ardenza Caput Mundi, con Carlo Azeglio Ciampi presidente della Repubblica in carica e gli amaranto di Walter Mazzarri freschi di promozione dopo 55 anni verso la Serie A, dove mancavano dalla stagione della tragedia di Superga. E, il giorno prima di Aldo, in quella stessa torrida Atene, il cecinese Paolino Bettini era andato a vincere l’oro nel ciclismo su strada.

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