A beautiful mind (and club)

Costruito sugli algoritmi, il Brentford sta scrivendo la storia del calcio.

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Il Brentford, tornato in Premier League per la prima volta dal 1947 e capace di superare all’esordio l’Arsenal per 2 a 0, fa parte della sterminata galassia delle compagini londinesi approdate su grandi palcoscenici, e più precisamente figura come la sesta in prima divisione. Ci troviamo comunque ben lontani dalle luci glamour e patinate dei riflettori della Londra calcistica targata Chelsea, Tottenham o Arsenal. Parliamo infatti di una zona in cui ancora si respira la vecchia tradizione. Ogni isolato ha il suo pub di fiducia, per le strade sopravvivono imprese commerciali di stampo più o meno familiare, le attività sono in generale ancora caratterizzate da ritmi meno serrati. Più nello specifico si fa riferimento alla periferia ovest della capitale inglese, molto vicina all’enorme aeroporto di Heathrow, simbolo della selvaggia globalizzazione cittadina.

La squadra, fondata nel lontano 1889, non può contare su una bacheca ricolma di trofei, tutt’altro, ma fino a poco tempo fa era riconosciuta per l’iconico impianto da gioco, lo storico Griffin Park, adesso abbattuto per fare spazio all’ennesimo stadio all’ultimo grido. La sua iconicità era riferita al fatto che poteva contare su un pub per ogni suo angolo: ed è così che il The Griffin, il The Royal Oak, il Princess Royal ed il The New Inn, diventarono un vero e proprio ritrovo per ogni supporter delle bees (le api). Uno straordinario esempio per chi ancora non aveva capito cosa volesse dire tifare una squadra nella tradizione anglosassone e di come ora il tutto rischi di diluirsi gradualmente. In una parola, “comunità”: di fronte alle numerose sconfitte e alle scarne gioie che hanno contraddistinto la storia del Brentford, i suoi tifosi hanno sempre saputo di poter contare su un luogo in cui ritrovarsi ogni sabato a condividere una fresca pinta di birra con il fruttivendolo di fiducia o con l’insegnante dei propri figli.

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