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MONDIALE PER CLUB

Mondiale per club: critiche e polemiche ma il nuovo torneo non ha deluso le attese

L'appuntamento di Usa '25, al di là del calendario congestionato, è stato comunque un avvenimento ad alto contenuto tecnico

di Andrea Cocchi
13 Lug 2025 - 10:56
 © Getty Images

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E' stato un po' il tormentone dell'ultimo mese. Il Mondiale per club non è simpatico a molti, anzi. Le critiche e le polemiche sul nuovo torneo sono state tante, spesso eccessive e, qualche volta, gratuite. Partiamo da quelle che possono essere anche condivise. Il calendario congestionato costringe i club a un super lavoro fisico e mentale, ed è oggettivamente complicato pensare di spremere i giocatori come limoni. Lo ha detto Klopp, lo ha ribadito il sindacato dei calciatori. Tutto giusto ma perché, allora, non pensare a ridurre il numero delle squadre nei vari campionati nazionali? E' così importante avere 20 club nelle serie maggiori? E' davvero fondamentale una Coppa come la Conference? E la Nations League? E la nuova versione annuale della Coppa Intercontinentale? E la Finalissima? E l'aumento del numero di partite in Champions? Invece di pensare a ridurre i match che ogni anno spremono chi deve scendere in campo, si critica una nuova manifestazione. Era così necessario un vero Mondiale per club? Sì, molto di più delle manifestazioni sopra citate. Perché mai lo sport più importante e popolare del pianeta non dovrebbe avere un torneo che assegna la Coppa del mondo, come avviene da 100 anni per le Nazionali? La domanda da fare sarebbe: "Perché non ci hanno pensato prima?". Invece ci si è affidati, dal 1960, alla Coppa Intercontinentale da disputare tra i vincitori della Coppa dei Campioni e quelli della Libertadores sudamericana. Una formula, non riconosciuta dalla Fifa, che è andata avanti, tra alti e bassi e con partite di andata e ritorno prima di stabilire che si giocasse una finale unica a Tokyo, fino al 2004. Poi l'organizzazione mondiale del calcio ha preso in mano la situazione e ha deciso per un "mondialino", da disputare tra Giappone, Marocco, Qatar e Arabia Saudita, tra tutti i club campioni continentali più una rappresentante del Paese organizzatore. La formula che sopravvive con l'antico nome di Intercontinentale e che, lo scorso febbraio, è stata vinta dal Real.

Un Mondiale vero per club è stata l'evoluzione più logica e naturale. Le polemiche sul fatto che sia solo una questione di business sono assolutamente condivisibili. Ma cosa non lo è? E non solo nel calcio? Senza andare a citare Gordon Gekko-Michael Douglas che, nel capolavoro di Oliver Stone "Wall Street", diceva: "Greed is good. Greed is right" (l'avidità è buona, l'avidità è giusta), questa è la strada che percorrono tutte le multinazionali e non si capisce perché la Fifa debba fare eccezione. La valanga di soldi assicurata ai vari club fa felici tutti e, per la salute dei calciatori, basterebbe rinunciare a tutte le partite inutili che vengono disputate ogni anno. 

Una critica giusta riguarda, invece, la location. Avere scelto gli Usa ha comportato una serie di conseguenze spiacevoli (caldo asfissiante, rischi di condizioni climatiche estreme che hanno portato alla sospensione di partite con pause allucinanti, stadi spesso semivuoti), che comunque si ripeteranno nel Mondiale per nazioni tra un anno. Sul discorso relativo alle presenze degli spettatori si potrebbe anche avanzare qualche riserva. Se in uno stadio da più di 80000 spettatori, come il Rose Bowl, ce ne sono 60000, può sembrare che non ci sia gente. E' altrettanto vero, come esempio estremo, che non si capisce perché gli abitanti di Nashville, in Tennessee, dovrebbero accorrere in massa a vedere una partita tra i sudcoreani dell'Ulsan e i sudafricani del Mamelodi Sundows... In più, per il pubblico europeo, non può certo aiutare il fatto che le partite si siano giocate spesso a orari improponibili, come le 3 del mattino. Questo è un discorso, ovviamente, legato agli spettatori televisivi che, per le partite delle 18 e delle 21, hanno invece garantito ascolti di buon livello. A dimostrazione che la manifestazione era sentita anche dagli appassionati. Anzi, per tutti coloro che amano davvero il calcio è stata l'occasione per valutare le qualità tecniche e il livello di organizzazione di gioco delle squadre di tutto il mondo. Un'opportunità per conoscere le tendenze tattiche molto più impattante rispetto al Mondiale per nazioni, visto che i club hanno la possibilità di lavorare tutto l'anno sul campo per affinare i movimenti, al contrario delle Selezioni. 

A chi invece ha voluto sottolineare la pochezza di certe squadre, bisogna ricordare che, Auckland a parte, nessun club ha manifestato una differenza abissale rispetto alle big. Ed è abbastanza normale che una squadra di dilettanti della Nuova Zelanda possa prendere una caterva di gol dal Bayern Monaco o dal Benfica. E quindi cosa si dovrebbe fare? Non fare partecipare a una competizione mondiale la squadra di un Continente solo perché il livello del suo calcio non è all'altezza? Infantino lo avrà fatto per ragioni economiche e politiche ma è innegabile che questa manifestazione appena nata, e che quindi deve dare il tempo a tutto il calcio mondiale di assimilarla e valorizzarla, ha senso di esistere molto più di altre. Le prossime edizioni, in Paesi più "calcistici" e con situazioni climatiche e di fuso orario più consone, lo dimostreranno alla grande. 

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