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La malinconica parabola di Ibrahim Ba

Nel 1997 arrivò al Milan dal Bordeaux

23 Giu 2020 - 07:53

Si racconta che Norma Jeane Mortenson, su consiglio di Emmeline Sniverly, celebre direttrice della Blue Book Modeling Agency, la più importante agenzia pubblicitaria di Hollywood del Novecento, abbia provato nove tonalità di biondo prima di arrivare a quello che l’ha poi resa leggendaria con il nome di Marilyn Monroe, così come il grandissimo cestista Dennis Rodman si sia tinto di platino i capelli per noia, mentre Cerezo, Vialli e Ivano Bonetti lo fecero per festeggiare lo scudetto nel 1991 e la Romania, con tutte cape biondastre, per dimostrare unità nazionale.

E Ibrahim Ba? Lui li spennellò per divertimento, perché, come Rodman, è nero, viene dal Senegal, che sulla cartina geografica sembra una zeppa per sostenere la gigantesca Mauritania; lui, Ibrahim, giunto al Milan dal Bordeaux, spesso viene ricordato per una frase di Ancelotti quando, nel 2008, prima di uno scontro col Napoli, dichiarò di averlo convocato perché gli stava simpatico. Una frase insolita, nuova, che non ha nulla a che fare con il calcio e lo sport, è una convocazione umanistica, fatta alla persona e non all’atleta, va oltre la partita, il risultato, è un atto di insubordinazione verso un sistema che ritiene solo ciò che è funzionale.

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