QUATTROTRETRE

Conte e Sarri, due opposti così vicini

Se il primo non concepisce di perdere né di arrivare secondo, l'altro lo aveva messo in conto per anni

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Jean-Paul Sartre scrisse una volta: «Nel calcio, il problema è la squadra avversaria». A guardare i recenti turni di Coppe Europee, per le squadre italiane, il problema sembrano essere gli allenatori. Sia quelli che vincono, Antonio Conte, che quelli che perdono, Maurizio Sarri. Il primo, Conte, allenatore dell’Inter, che pure ha battuto il Bayer Leverkusen, arrivando in semifinale di Europa League, è un muezzin del lamento. Il secondo, Sarri, allenatore della Juventus fino a qualche giorno fa, è stato eliminato dalla Champions League dal Lione, ed è un integralista redento: non gli è bastato vincere lo scudetto e mettere da parte le sue idee di calcio per tenersi la Juve.

I due hanno in comune una ossessione più o meno esibita che in Conte si fa canto e in Sarri mugugno, sono degli embedded del pensiero calcistico – come è quasi giusto che sia visto che sono stati generati non creati dall’Arrigo Sacchi re della nevrosi e già personaggio di Guido Morselli – ma se il primo non concepisce di perdere né di arrivare secondo, l’altro lo aveva messo in conto per lunghi anni, poi s’è auto-tradito consegnandosi a un livello successivo e/o metamorfosi, quello che lui chiamava più o meno volontariamente citando Pier Paolo Pasolini: Palazzo.

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