Adolfo Gaich è un attaccante complesso

Cosa può dare l'argentino al Benevento?

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Adolfo Gaich è arrivato al Benevento ormai da qualche settimana e non è ancora sceso in campo. Per il momento, l’unico atto del ventunenne centravanti di Bengolea, paese argentino di poco più di mille abitanti nella zona di Cordoba, è stata la scelta del numero di maglia. Durante Benevento-Sampdoria, uno striscione esposto al Vigorito ha ricordato Carmelo Imbriani, capitano e allenatore dei giallorossi, a otto anni dalla sua prematura scomparsa, in seguito a una grave malattia. Gaich era in tribuna e, dopo aver conosciuto la sua storia, ha deciso che avrebbe indossato la maglia numero 7 in suo onore. Con questo gesto, coraggioso e discreto allo stesso tempo, Gaich ha instaurato un primo autentico contatto emotivo con la sua nuova tifoseria, sgretolando subito quell’immagine di centravanti-meme che lo ha preceduto. Cambiare prospettiva, scegliere uno sguardo più profondo, è la chiave di lettura anche per capire che calciatore sia.

Quando Adolfo Gaich ha spazi a disposizione, le sue spalle larghe diventano lo strumento con cui tiene lontano l’avversario mentre cambia direzione. La sua tecnica appare grezza, perlomeno in alcuni fondamentali: i suoi stop non incollano quasi mai la palla al piede, alcuni dribbling sembrano esibizioni di equilibrismo, non per una destrezza che non possiede, ma per la concentrazione con cui gestisce il pallone e cerca di tenerselo più vicino possibile, come se stesse camminando su una fune. Le sue leve lunghe danno dinamismo al tronco da golem, permettendogli progressioni ben più rapide di quanto il suo corpo non lasci immaginare di poter compiere da fermo.

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