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La tutela della biodiversità

Uno studio rivela che potrebbe evitare nuove pandemie

02 Nov 2020 - 09:58

Consumo di suolo, cambiamento climatico, inquinamento, diffusione delle specie esotiche sono tutti fattori che contribuiscono alla perdita della biodiversità, fondamentale per il nostro pianeta perché ogni specie svolge un ruolo unico e importantissimo nell’ecosistema in cui vive. Da tempo la nostra presenza e la nostra crescente domanda di terra, acqua ed energia stanno mettendo in pericolo molte specie animali e vegetali e ora che le tematiche ambientali stanno attirando sempre più l’attenzione dei governi e delle aziende di tutto il mondo, proprio queste ultime hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui invitano gli organi governativi ad azioni più concrete per combattere in primis il cambiamento climatico e frenare la distruzione degli habitat. Più di 560 le aziende coinvolte, un fatturato complessivo di più di 4 miliardi di dollari e un’iniziativa, non a caso, quasi in concomitanza con il vertice ONU sulla biodiversità, svoltosi a fine settembre. Il Presidente dell’evento, Volkan Bozkir, ha affermato: “La nostra esistenza su questo pianeta dipende interamente dalla nostra capacità di proteggere il mondo naturale che ci circonda”, dichiarando inoltre che ci vogliono molta più azione e più ambizione per salvaguardare la Terra.

Già l’anno scorso gli scienziati avevano mostrato i dati di come 1 milione di specie siano a rischio estinzione e allo stato attuale si conta che negli ultimi 50 anni siano scomparsi i 2/3 degli animali del mondo tra mammiferi, uccelli, pesci, anfibi e rettili. Serve dunque una politica che investa nella conservazione perché proteggere la biodiversità significherebbe anche investire nel riequilibrio climatico, nella salute umana e nella sicurezza alimentare.

Uno studio pubblicato su Nature evidenzia come le vittime primarie dell’uomo sono quelle specie che hanno bisogno di precise condizioni per sopravvivere quali un’alimentazione altamente specifica e un habitat intatto. Al contrario, in un mondo fortemente antropizzato prosperano le specie più piccole con un ciclo vitale breve come i ratti, gli storni o i pipistrelli. Proprio queste classi animali rappresentano serbatoi di agenti patogeni che, tramite l’ormai conosciuto fenomeno dello spillover, possono passare dagli animali all’uomo ed essere causa di nuove pandemie.

La natura può essere quindi contenitore di mali sconosciuti contro cui la specie umana può poco e nulla. Lo conferma un team di ricercatori del Dipartimento di Genetica, Evoluzione e Ambiente dell’University College of London, guidato da Rory Gibb, secondo cui "È ampiamente riconosciuto che il cambiamento dell’uso del suolo, ad esempio la conversione di habitat naturali in ecosistemi agricoli o urbani, influenza il rischio e l’insorgenza di malattie zoonotiche negli esseri umani". I risultati della ricerca hanno confermato la teoria per la quale nelle zone in cui l’uomo ha fortemente modificato la natura, il numero totale di ospiti zoonotici è incrementato in maniera ampia. Occorre agire.

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