Lo juventino vuole sapere: cosa sta succedendo?

Le incertezze sul futuro della panchina, divisa Allegri e un suo possibile sostituto, tengono in ansia il popolo bianconero

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Ho trascorso la notte a parlare amabilmente di Juventus con un amico e tifoso con il quale è possibile incontrarsi di persone due o tre volte all'anno. Non solo domande e risposte, perché ne nascerebbe una catena infinita: il momento è così, con tre partite davanti delle quali una soltanto possiede un minimo di senso (l'unica allo Stadium, contro l'Atalanta, quella della Coppa Scudetto, c'è tra l'altro si vocifera possa essere spostata dal pomeriggio alle 20.30 della domenica, con tanti saluti nel caso al pullman per le vie di Torino). Il momento nel quale si vuol trovare un perché a tutto, e ogni risposta chiama la domanda successiva come una matrioska nella quale l'allenatore è l'ultimo anello di questa enorme fatica dialettica.

Lui però è un amico particolare. È juventino fino al midollo, ma chiede e non insiste, si accontenta e soprattutto ragiona (per quanto, pur di non vivere lì calcisticamente consumato rapporto con Allegri, ammetta candidamente di accettare con sollievo anche la candidatura soft di un Simone Inzaghi). Spiego della lunga storia e delle fonti su Guardiola, ma il tema del momento è Antonio Conte. Scusateci, vorremmo l'Europa è il Mondo ma siamo ancora tutti maledettamente italiani: “Perché tutta questa bufera l'altra sera su Conte? Il tema era l'allontanamento tra la società e Allegri, eppure la battaglia giornalistica si è giocata in poche ore su Antonio”. Perché qualcuno ha fatto due più due uguale a tre e mezzo - caro a Giuseppe - conoscendo ciò che ha lasciato dentro la Juve l'ex tecnico e conoscendo la posizione in merito di alcuni componenti dei vertici. E perché qualcun altro ha fatto due più due uguale quattro e mezzo, eccitato dalla controinformazione di matrice interista circa un preaccordo siglato da Conte con Marotta.

Di questo preaccordo in pochi dubitano, una pezza utile all'amministratore delegato per dimostrare alla proprietà che una trattativa è più che possibile. Tutto questo ci interessa il giusto, se non fosse che Giuseppe cerca esplicitamente un'anima visibile di una Juventus un po' spogliata del calore e dell'appartenenza di quegli anni - irripetibili già solo per l'effetto endogeno dello Stadium che un po' fisiologicamente viene a consumarsi - ammettendo a suo parere che “l'unico è Pavel Nedved”. Già, non ci sono più neanche Del Piero e Buffon, neppure Marchisio nel suo piccolo, c'è Chiellini ma è mancato quando contava o forse semplicemente nella summa di ciò che vuol sentire il tifoso è un po' poco visto che Bonucci due anni fa l'ha combinata grossa e quella cerniera difensiva, dentro i cuori, non è più la stessa cosa. Magari consegnare la fascia da capitano a CR7 potrebbe essere una mossa intelligente, per farcelo sentire totalmente nostro è ancora più juventino, chissà. Intendiamoci: Giuseppe sbaglia perché ciò che vuole sentire e vedere è tutto dentro Andrea Agnelli, l'imperatore di Torino che circa il prossimo allenatore - a meno che non sia già a Pep Guardiola - avrà infine unilaterale potere di alzare o abbassare il pollice. “Parla sempre meno”, constata Giuseppe. Vero, ma è un caso raro: primo cittadino e primo tifoso della Juventus eppure ormai anche politico esposto a livello internazionale. Un giorno risolverò anche questo dubbio: è lui a inseguire le necessità storiche della Juve o è una Juve con il fiatone a provare a stargli dietro? Al successore di Allegri, tra i tanti che dovranno mettersi in gioco, l'interessante sentenza.