Sarri alla Lazio è una rivoluzione

Ambientale, culturale, politica

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Nel 1965 Fidel Castro rende pubblica una lettera scrittagli qualche mese prima da Ernesto “Che” Guevara. El Comandante, sostanzialmente, ha bisogno di lasciare Cuba per dar vita alla Rivoluzione in altri luoghi. Si congeda così dai suoi incarichi rinnovando l’amore per la causa cubana e con la celeberrima frase “Hasta la victoria siempre. Patria o muerte!” dice addio per sempre a quello che è (diventato) il suo popolo. “El pueblo de Cuba” è stravolto dalla decisione, in particolare lo è Carlos Puebla, compositore cubano, il quale però dalla tristezza ricava una ballata in grado di scaldare i cuori di chi si identificava e identifica con il Che: Hasta Siempre. “Tu amor revolucionario Te conduce a nueva empresa Donde esperan la firmeza De tu brazo libertario Aquí se queda la clara La entrañable transparencia De tu querida presencia Comandante Che Guevara”. Sostituire Maurizio Sarri a Che Guevara sarebbe patetico, ma da sempre i linguaggi del calcio e della politica flirtano tra di loro e si scambiano parole d’ordine: basta vedere il mito di Sarri a Napoli, anzi la narrazione che se ne è fatta. Un uomo di popolo, proprio come Che Guevara. Un condottiero guidato dall’utopia (calcistica). Figlio di operaio e nipote di partigiano insignito di riconoscimento su carta intestata dalla Casa Bianca, Maurizio Sarri, oltre che alla Rivoluzione del bel calcio, è devoto alla tuta acetata, alla moka del caffè e alla sigaretta accesa. Alle parolacce dette sottovoce in dialetto toscano e al vino, rigorosamente rosso. Naturalmente buono non per la qualità in sé ma per la compagnia con cui lo si beve.

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