Mesut Ozil, contraddire il talento

Gli assist in campo, gli autogol nella vita

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Der Rabe. Oppure, The Raven – come direbbero a nord di Londra. Non tanto per una questione di apparenza, nemmeno per referenze cinematografiche. Ma solo perché il corvo, nell’immaginario comune, rappresenta un uccello scaltro, opportunista, preciso. Per molti, uno svolazzare molto simile a quello che sul campo mostrava Mesut Özil ai tempi di Brema col suo Werder.

La sua traiettoria però comincia a Gelsenkirchen, dove è nato e cresciuto da genitori emigrati dalla Turchia per terra e mare, come altri due milioni e mezzo di connazionali, alla ricerca di una vita migliore. Un ragazzo minuto, timido e introverso, ultimo di quattro fratelli, che però col pallone tra i piedi si trasforma sviluppando una vera e propria ossessione per il gioco del calcio. Joachen Herrmann, vice direttore della scuola media di Özil, definisce il rapporto del ragazzo con il calcio “un po’ autistico”, aggiungendo: «Ho sempre avuto la sensazione che si portasse il pallone anche a letto».

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