“Il fumo è l’incenso che brucia sugli altari dell’industria”. Rosen è sicuro: più in alto si allunga la ciminiera, più prestigio restituisce. Contrappasso perfetto per le anime lavoratrici: sostanzialmente più basse di ogni altra cosa, corporee prima che simboliche. Terni è intrisa di storia. Un tempio a cielo aperto, background perfetto di un qualsiasi fantasy steampunk: ceneri di un teatro industriale tra i più importanti del Novecento che ha lasciato il posto a una voragine riempita dallo spirito reazionario del suo popolo. Il calcio, che è un prodotto sociale, non fa eccezione: si fa presto a riempirsi la bocca di fùtbol e rigurgiti retorici. La Ternana è anzitutto concretezza prestata al pallone: poi un insieme di molte altre cose.
Di fronte alla «porta maestra detta Attimo» se ne stanno, più o meno comodi dopo la salita, Zarathustra e il nano, a disquisire sull’eterno ritorno: davanti a loro due vie. Il passato e il futuro si guardano vicendevolmente, poi si danno le spalle: siamo davvero portati a vivere di nuovo tutto questo? Esiste un punto nella storia in cui tutto si ferma, contemplandosi? Terni è rimasta dinanzi alla porta, in maniera immutabile, dopo i bombardamenti della Seconda Guerra. Forse è proprio questo che ha temprato il carattere dei ternani: l’essere sempre gli stessi, al limite tra l’ultimo uomo e il super uomo. In verità, la storia del popolo ternano, come detto, è più concreta. Città devota all’acciaio e ai rumori delle fabbriche, volti a scandire le ore e le abitudini: cittadinanza temprata dalla stessa lega. Per molti, amanti dei titoli ad effetto, la “Manchester d’Italia”.
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