Le Mans è un mondo poetico, fatto di auto da sogno ed eroici padroni del volante che corrono oltre i limiti della luce e delle tenebre. È uno dei luoghi di culto della religione motorsportiva: un nome che evoca fascino e storia, un nome che rappresenta quel senso di appartenenza viscerale che molti appassionati di auto sentono nell’anima. Sono tanti, non a caso, i tifosi che ogni anno rispondono al richiamo della gara di durata più famosa al mondo.
Pur non essendo un “format”, come direbbero quelli che se ne intendono, commercialmente e mediaticamente impacchettabile e vendibile, la 24h di Le Mans continua a vivere e il suo prestigio resiste all’avanzare del tempo.
La crisi d’identità della Formula 1, categoria trainante a livello globale dell’interesse verso lo sport dei motori, la tendenza a ridurre i Gran Premi a gare sprint per semplificare e arrivare ad un numero di consumatori sempre più ampio – andando così incontro alla più bassa soglia di attenzione del pubblico – denota che il motorsport non è più quello di una volta. Nonostante tutto questo, o forse proprio per questo, la corsa di resistenza per eccellenza rappresenta sempre di più la disciplina nel suo archetipo essenziale
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